Lo sciopero rappresenta la massima espressione della lotta sindacale. Il sindacato usa lo sciopero come strumento per esercitare pressione sulla controparte datoriale per cercare di ottenere quello che non riesce ad ottenere sul piano negoziale.
Analizzando i suoi lineamenti storici possiamo partire dal codice penale sardo, adottato dal Regno D’Italia dopo l’unità. Secondo il codice penale sardo scioperare era reato se serviva per rincarare il lavoro. Se fato senza ragionevole causa.
Nel periodo pre-corporativo (codice Zanardelli del 1889) scioperare è una libertà. Si ha la libertà di scioperare, ma questo può esere considerato come un inadempimento contrattuale.
Invece, nel periodo corporativo scioperare è considerato reato. Secondo il Codice Rocco del 1931, un delitto contro l’economia pubblica, anche quando si sciopera per fini contrattuali. Scioperare era reato sia per il settore pubblico sia per quello privato. Anche la serrata era considerata illegale. La serrata è la chiusura delle attività da parte dell’imprenditore. Per il codice Rocco tutte le forme di autotutela sono considerate reato. Questo perché le forze economiche dovevano converere verso un unico fine produttivo, l’interesse superiore della nazione.
Lo sciopero come diritto costituzionale
Il diritto di sciopero è riconosciuto dall’articolo 40 della Costituzione che rinvia alla legge ordinaria la sua regolamentazione. “Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano”.
La Costituzione non riconosce invece il diritto di serrata e nega l’uguaglianza tra le parti (lavoratore e datore di lavoro. Solo i lavoratori sono protetti scioperare concretizzerebbe l’attuazione del principio di eguaglianza sostanziale previsto dall’articolo 3 comma due della costituzione.
Le prime regolamentazioni del diritto di sciopero
Le prime leggi per regolamentare il diritto di sciopero sono state approvate soltanto nel 1990. Prima del 1990 hanno svolto un ruolo di supplenza soprattutto la dottrina, che ha dato indicazioni interpretative e la giurisprudenza della Corte Costituzionale chiamata a più riprese a pronunciarsi.
Nell’assenza di una legislazione sullo sciopero la dottrina del lavoro e la giurisprudenza hanno fornito una supplenza normativa.
Lo sciopero secondo la definizione della dottrina e della giurisprudenza
Di regola viene proclamato da un’organizzazione sindacale per esercitare un’interesse “plurale”, “collettivo” e non individuale. Lo sciopero può essere indetto anche se ad essere tutelata deve essere una sola persona come nel caso di un licenziamento a causa dell’appartenenza a una determinata sigla sindacale.
Secondo la dottrina del giurista Santoro Passarelli lo sciopero si qualifica come un diritto soggettivo potestativo. Si tratterebbe di un diritto talmente forte che legittima i lavoratori a sospendere la loro attività di lavoro e colloca il datore i lavoro in una posizione si soggezione. Questo significa che il sindacato dichiara lo sciopero e il datore di lavoro non può impedire che il lavoratore cada a scioperare, deve essere soggetto a sopportare lo sciopero.
Secondo la dottrina dell’accademico Piero Calamandrei, il diritto di sciopero è un diritto soggettivo pubblico di libertà. Significa che lo sciopero è una risposta dello Stato repubblicano allo Stato fascista, quindi si configura come un diritto del quale il cittadino vanta verso lo stato.
Stando alla dottrina del giurista Luigi Mengoni, lo qualifica come un diritto assoluto della persona per mezzo del quale si realizza l’uguaglianza sostanziale. Il lavoratore scioperando eserciterebbe un diritto “assoluto” sia verso lo stato sia verso il datore di lavoro.