Cos’è il cinema per le nuove generazioni e quali le forme espressive alle quali hanno accesso nell’era del digitale e del fruire veloce? Quali i loro maestri di riferimento e i generi più frequentati? Esiste un pre e un post Tarantino nella nuova storia del cinema?
Proviamo a chiederlo ai giovani aspiranti registi “malati” di cinema e che il cinema provano a farlo davvero.
Iniziamo con Antonio Caiazzo, 26enne regista campano di “corti”, diplomato filmaker all’ACT multimedia di Cinecittà. Studia, inoltre, sceneggiatura e fotografia cinematografica all’ASCI scuola di cinema di Napoli e segue il corso intensivo di scrittura per il teatro tenuto da Sergio Pierattini al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Lavora su alcuni set cinematografici come aiuto regia e aiuto operatore e gira diversi spot e cortometraggi per il web curandone scrittura, fotografia e regia.
Cosa rappresenta il cinema per lei?
“Il cinema per me è tante cose. E’ scuola, perché ho imparato molto di più su tanti argomenti guardando i film che a scuola. E’ un rifugio perché fin da bambino quando c’è un guaio, quando mi sento giù, quando mi sento solo, metto uno dei miei film preferiti e riesco a sentirmi meglio. E’ strano da dire, ma il cinema è il mio migliore amico.”
Quindi il cinema è anche terapia! Dove preferisce guardare un film, nelle sale deputate o a casa?
“Da bambino uscivo poco, ero sempre a guardare film. Ne ero ossessionato. Di natura non sono un chiacchierone, ma quando si parla di cinema divento logorroico. Il mio rapporto col cinema si basa molto di più sull’home video che sulla sala. Ho cominciato a comprare dvd da bambino e non ho mai più smesso. A casa non c’è quasi più spazio, non so dove metterli. E grazie ai dvd ho cominciato a capire un pò come si fanno i film, tramite i “contenuti speciali.”
Il cinema e gli autori che più ama?
“Prediligo il cinema americano e in particolare il cinema della New Hollywood: Scorsese, Spielberg, Coppola, De Palma. Credo che loro abbiano forgiato il mio occhio filmico e tutt’ora sento la loro influenza. Credo fortemente nelle idee. Credo che se hai una buona idea e sei abbastanza ingegnoso, non ti servono tanti soldi. Come la maggior parte dei ragazzi della mia età, ho scoperto i film di genere “splatter” grazie a Quentin Tarantino. Il cinema di questo regista è fortemente influenzato dai b-movie, e quindi dagli splatter movie, che sono un sottogenere dell’horror. Insomma grazie a lui questo genere è diventato di moda tra i più giovani. Io non sono uno che segue le mode, cerco sempre qualcosa di veramente originale, ma penso di essere stato fortemente influenzato da questo regista quindi è inevitabile che, alcune volte, quando scrivo, “schizzi un pò di sangue”. L’importante è che questa violenza racconti qualcosa, che abbia un valore estetico o catartico. Insomma basta che non sia gratuita.”
Il “Corto” è una forma espressiva molto frequentata dai giovani registi, cosa rappresenta per lei?
“I cortometraggi per me sono una palestra, una ricerca di stile e un modo per farmi conoscere. Scrivo tutti i giorni e cerco di realizzare progetti che stimolino il mio ingegno. Mi piacciono le sfide e il fatto di avere pochi mezzi a disposizione rende tutto più avventuroso.”
”Storia d’infanzia” è il suo primo cortometraggio, il cui video presentiamo qui, su questa pagina, ci racconta com’è nato e quali difficoltà ha dovuto superare?
“Storia d’infanzia” è il primo tentativo di raccontare una storia per immagini. Ho già detto che credo molto nelle idee, quindi volevo un’ idea non convenzionale per il mio primo corto e ho cominciato a scavare nei miei ricordi. Ed è proprio nei ricordi della mia infanzia che l’ho trovato, nei ricordi di quando giocavo con mia sorella. Ho deciso di non seguire una struttura classica ma di raccontare tutto così come lo ricordavo, un flusso di immagini. Cercando di restituire le sensazioni di quei ricordi. Le difficoltà del girare un corto, quando sei alle prime armi, ci sono. La cosa più difficile è sicuramente pensare una storia interessante che non richieda l’impiego di mezzi troppo costosi. Anzi, bisogna pensare una storia che si possa raccontare proprio con “due spiccioli”. Io per fortuna ho una famiglia che mi sostiene e quindi mi hanno aiutato un po’. Trovare delle persone che lavorino al progetto accettando cifre bassissime è l’altro scoglio da superare. Queste sono state le difficoltà più grandi per me. Certo dirigere due bambini non è cosa facile, ma io ho fatto tante prove e mi ritengo soddisfatto dei due piccoli interpreti“.
Ora cos’ha in cantiere?
“Ora sto ultimando la post produzione di “Ipocondria zombi”, il mio secondo corto che, guarda caso, è un horror. Un’horror con sfumature grottesche per la precisione. Il tema principale è l’ipocondria e non vedo l’ora di finirlo per poterlo mostrare in giro per i festival.”
Concludiamo l’intervista col video di “Storie d’infanzia”, il corto che racconta il rapporto tra due fratelli, i giovanissimi attori Alberto Siniscalchi e Rebecca Sorice, una piccola fiaba dolce, dove l’immaginazione è il collante nei giochi tra i due fratelli, il finale a sorpresa ci ha conquistati. Buona Visione!