Il Covid-19 è una malattia seria che può compromettere diversi apparati del nostro organismo in modo più o meno durevole. Una delle conseguenze riscontrate dal coronavirus a lungo termine è quella che viene chiamata «nebbia cognitiva» e colpisce il cervello. Ne ha parlato recentemente la biologa Barbara Gallavotti.
Coronavirus, cervello e nebbia cognitiva
«Il Covid può influire sulle nostre capacità mentali a medio e lungo termine – ha ricordato in tv -: in molti, una volta guariti, lamentano una specie di nebbia e stanchezza mentale, sono i cosiddetti “strascichi”. Questi sintomi sembra che riguardino una persona su venti. E si tratta di individui giovani, tra i 18 e i 49 anni».
Queste le parole della biologa Barbara Gallavotti che ha parlato di un fenomeno (o per meglio dire conseguenza) che il covid 19 ha lasciato a chi è guarito. I sintomi cognitivi possono includere perdita di memoria (di solito a breve termine), confusione, difficoltà di concentrazione. C’è chi dimentica viaggi di poche settimane prima, chi la foggia della propria macchina, chi nomi specifici relativi a procedure di lavoro che conosce da anni. Questi sopravvissuti al Covid affermano che la «nebbia cerebrale» sta compromettendo la loro capacità di lavorare normalmente: per loro ci vuole più tempo per portare a termine i compiti e spesso si sentono confusi e sopraffatti.
Tutti i dati raccolti
Gli scienziati non sono sicuri di cosa provochi la «nebbia del cervello», che varia ampiamente e colpisce anche le persone che si sono ammalate solo leggermente e non avevano precedenti patologie. La ricerca scientifica è solo all’inizio, per citare alcuni esempi recenti: Aluko Hope, specialista in terapia intensiva presso il Montefiore Hospital di New York City, riferisce che circa un terzo dei suoi pazienti afferma di non ricordare i numeri di telefono che conoscevano prima o di faticare a ricordare le parole appropriate. «Non sono solo le persone anziane ad avere questi sintomi cognitivi – dice al New York Times -. Non sappiamo chi è a rischio o perché». In un sondaggio canadese che sarà presto pubblicato, su 3.930 membri del Survivor Corps (associazione che riunisce ex pazienti Covid) più della metà ha riferito difficoltà di concentrazione o messa a fuoco. È stato il quarto sintomo più comune tra i 101 sintomi fisici, neurologici e psicologici a lungo e a breve termine riportati dai sopravvissuti. Un rapporto francese di agosto su 120 pazienti ricoverati in ospedale ha rilevato che il 34% aveva perdita di memoria e il 27% aveva problemi di concentrazione mesi dopo. A luglio uno studio dei Centers for Disease Control and Prevention Usa (CDC) ha mostrato come quasi 1 su 5 tra giovani adulti di età compresa tra 18 e 34 anni (senza patologie preesistenti) ha riferito di non essere tornato al normale stato di salute (anche mentale) dopo il Covid-19.
Le cause
Il virus ha quindi innegabili effetti neurologici e la «nebbia nel cervello» non è il peggiore: i pazienti lamentano mal di testa, affaticamento e perdita del gusto e dell’olfatto, che possono durare da settimane a mesi dopo l’infezione. Nei casi più gravi, il Covid-19 può anche portare a encefalite o ictus. Il modo in cui SARS-CoV-2 colpisce le cellule nervose rimane ancora un «mistero». Le teorie principali sono che i problemi si verifichino quando la risposta immunitaria al virus non si arresta (processo comune a molte malattie autoimmuni) o siano causati dall’infiammazione presente nei vasi sanguigni che portano al cervello. «La risposta più semplice è che le persone hanno ancora un’attivazione immunitaria persistente dopo che l’infezione iniziale si è attenuata», ha affermato al NYT il dottor Avindra Nath, capo del Dipartimento Infezioni del sistema nervoso presso l’Istituto nazionale dei disturbi neurologici e dell’ictus. Le molecole infiammatorie, rilasciate in risposte immunitarie efficaci «possono anche essere una sorta di tossine, in particolare per il cervello», ha detto Serena Spudich, capo del Dipartimento Infezioni neurologiche e neurologia globale presso la Yale School of Medicine.