Smart working è una delle espressioni più pronunciate da qualche settimana: chi non ha un amico o un parente che al momento non stia lavorando in smart working? Il lavoro agile, per dirlo all’italiana, si sta rivelando un prezioso strumento per contenere il contagio da Coronavirus. Il Decreto del Presidente del Consiglio, entrato in vigore lo scorso 1° marzo, ha superato degli ostacoli per rendere questa modalità lavorativa accessibile a quanti più lavoratori possibile creando una considerevole inversione di tendenza rispetto a quanto accade da tre anni a questa parte, da quando, cioè, esiste una legge ad hoc.
Cos’è lo smart working
In Italia il lavoro agile è regolato dalla Legge 81/2017 che lo definisce una modalità di svolgimento del proprio lavoro subordinato in assenza di vincoli orari e spaziali e organizzata per fasi e obiettivi.
Il lavoro va svolto in parte presso la struttura aziendale e in parte presso postazioni esterne nei tempi concordati tra datore di lavoro e dipendente nel rispetto di quelle che sono le ore lavorative previste dal contratto. Sono concordati anche gli strumenti tecnologici da utilizzare e il potere di controllo da parte del datore di lavoro. La modalità dello smart working non prevede alcuna modifica nella retribuzione.
Il Coronavirus e il lavoro agile in Italia
La possibilità di restare a casa senza fermare il proprio lavoro è il vantaggio dello smart working che più fa al caso in questi giorni di emergenza epidemiologica ed è per questo che il Governo ha voluto utilizzarlo al massimo adottando una misura ad hoc. Qual era lo stato dell’arte sullo smart working in Italia prima del decreto? Secondo quanto diffuso dall’Osservatorio sullo Smart Working, la modalità del lavoro agile trova la sua massima diffusione tra le grandi aziende, le quali però ne sembrano fare più una questione di moda; le pmi italiane sembrano affacciarsi ora a questo fenomeno con l’elaborazione di diversi progetti per il futuro; la pubblica amministrazione, invece, tende a rimanere legata a modalità lavorative più tradizionali. Il lavoro agile comporta importanti investimenti nel settore tecnologico e una diversa organizzazione del lavoro, in termini di obiettivi e risultati che vanno scissi dal presenzialismo. Prevede un periodo di formazione digitale del personale e la creazione di efficaci strumenti di controllo del lavoro svolto in modalità agile. Necessità, quest’ultima, che rende scettiche le pubbliche amministrazioni allarmate dallo spettro dell’assenteismo.
Lo smart working in Europa
Queste motivazione, viste spesso come ostacoli, hanno spinto l’Italia in basso alla classifica europea sullo smart working. Secondo dati Eurostat, in Italia solo il 3,6% dei lavoratori praticano abitualmente il lavoro agile e l’1,2% lo praticano di tanto in tanto. I Paesi più virtuosi sono Olanda, Svezia, Finlandia, Lussemburgo nei quali i lavoratori che utilizzano questa modalità superano il 10% mentre quelli che se ne avvalgono di tanto in tanto superano il 20%. Ora bisogna vedere se il livello di soddisfazione per questa modalità lavorativa, in genere molto alto sia per imprenditori che per lavoratori, le darà un nuovo impulso.