“Solo una crisi, reale o percepita produce un vero cambiamento. Quando quella crisi si verifica le idee che sono considerate impossibili, diventano possibili” recita un adagio di Milton Friedman, recentemente richiamato da Naomi Klein, per spiegare la sorprendente capacità di adattamento e la rapidità di adozione di nuovi modelli che tanti – quasi tutti – hanno saputo dimostrare nel corso dell’emergenza che ha sorpreso il mondo intero a marzo 2020.
Coronavirus e remote working
Ma non tutto si adatta e incastra perfettamente da subito: un’ampia fetta di professionisti si è trovata a lavorare in maniera diversa, da un giorno all’altro, praticamente senza preavviso e senza un libretto di istruzioni. Isolati dentro le proprie case ma paradossalmente anche iper-connessi. E, in questa dimensione, il tempo sembra aver perso parte del suo significato. E se questi primi mesi sono stati affrontati con coraggio e con curiosità, dobbiamo mettere in conto che il remote working non ci abbandonerà. Anzi, si rivelerà una pratica che si rende tanto più necessaria quanto più si profila all’orizzonte un futuro che richiederà il distanziamento sociale per diversi mesi con una presenza in ufficio a turni alternati e il rimanente tempo lavorativo svolto da remoto. Come si può quindi continuare ad affrontare il remote working? E come si può tradurre in vera opportunità per il recupero di efficienza e, paradossalmente, identificazione anche di nuovi stimoli?
Nuove dinamiche di lavoro, nuovi bisogni, nuove opportunità
Elena Pellerito, consulente di sviluppo organizzativo per la divisione Talent Management del gruppo Isper fa notare: “Non chiamiamolo Smart Working, perché quest’ultimo è una modalità di lavoro organizzata, fatta di processi (e di accordi aggiunti al contratto). Viceversa, in questa emergenza” la maggior parte dei lavoratori ha “solo” spostato la sede di lavoro dal suo ufficio alla propria casa, ma senza indicazioni. Stiamo facendo i conti con nuovi tempi, nuovi spazi e nuove dinamiche (figli, compagni, coinquilini…), tutto in una volta”.
È cambiato il contesto e noi sappiamo che è proprio esso a dare significato a ciò che facciamo, alle competenze e ai comportamenti. Uno stile di management o caratteristica personale che funziona in un contesto, per esempio, non funziona in un altro contesto. E vale anche all’interno di questo nuovo paradigma perchè in tempi rapidissimi esigenze, priorità e aspettative sono cambiati: allo stesso modo devono quindi cambiare anche le competenze.
I leader hanno un compito di primaria importanza in questo momento: portare avanti il ruolo di guida delle loro persone e di contribuire a condurre l’organizzazione del lavoro all’interno di un nuovo schema che prevedrà ancora a lungo il distanziamento.
Prosegue Anna Bonomini, specializzata in valutazione e sviluppo del potenziale all’interno della divisione Talent Management del Gruppo Isper: “Concentrarci sulla self leadership, riconoscendo le proprie difficoltà e i propri limiti per superarli è il primo passo. Poi occorre sviluppare ulteriormente le proprie capacità di leadership interpersonale. Quattro sono le competenze chiave su cui concentrarsi: coordinamento, comunicazione, umiltà e diversity”.
Le quattro competenze chiave del talent management
Coordinamento
Nel Remote Working un leader può notare un calo della performance dei propri collaboratori e può a sua volta essere spaventato per le condizioni più difficili. Questi timori non devono essere trasmessi e non bisogna manifestare messaggi di sfiducia o farsi vedere lontani. Se in azienda o in ufficio è senz’altro più facile delegare, assegnare task e fare controlli, è importante continuare a condividere e favorire la partecipazione alle attività, promuovendo l’autonomia e il senso di responsabilità. Come? Assegnando piccoli obiettivi e invitando a essere un poco più indipendenti. D’altra parte, per mantenere il controllo e il senso di comunità, call a orari fissi – di team o one-to-one – danno un senso di sicurezza al collaboratore.
Comunicazione
Da alcuni dati raccolti nelle ultime settimane la capacità di ascolto in queste condizioni di lavoro è crollata dell’80%. Nonostante ciò non si può rinunciare a comunicare, bisogna solo farlo in modo diverso. No a riunioni non più lunghe di 30 minuti e a mail “infinite”; è questo il momento giusto per abbattere le logiche formali. Un leader in questo momento deve essere soprattutto un comunicatore fidato. Sotto stress infatti si ascoltano di più i messaggi che arrivano da persone di fiducia, basti pensare ai nostri momenti di difficoltà: chiamiamo gli amici più stretti, ci confidiamo con il nostro partne. È il momento di accorciare le distanze con i collaboratori: allenare la comunicazione è un investimento per il futuro.
Umiltà
Umiltà non significa avere un atteggiamento modesto, ma piuttosto significa cercare il contatto con sé stessi e con le altre persone. In pratica questo vuol dire dare importanza e accettare il feedback, ascoltare, imparare dagli errori e saper tornare sui propri passi. L’umiltà – contrapposta al carisma – in questa situazione di emergenza facilita la guida delle persone, che mai come ora devono sentirsi parte di un team. L’umiltà crea motivazione, coinvolgimento, collaborazione, a differenza del carisma che in questa situazione ha effetti negativi sulla motivazione del team.
Diversity
È la competenza più alta, più utile e attuale in questo momento storico, perché mantiene alti la motivazione e il coinvolgimento. Le persone a fronte della medesima situazione hanno aspettative, mindset e stili di approccio diversi. Integrare è fondamentale: bisogna far interagire risorse diverse, a livello culturale, di genere e generazionale.
La situazione sanitaria di emergenza e il mondo che ci lascerà – e che sarà sicuramente diverso – ci spinge a riflettere e ad agire. Lavorare sulla dimensione personale in questo momento è fondamentale: bisogna saper riconoscere i propri elementi di “deragliamento” in un’ottica di miglioramento dell’efficacia per essere leader migliori domani.