Eurodap (Associazione Europea Disturbi da Attacchi di Panico) ha condotto di recente un sondaggio su 800 giovani, allo scopo di monitorarne i comportamenti antisociali. A fornire uno dei background su cui si muove l’indagine è l’universo dei social network, spesso il terreno fertile per eccellenza dove vanno ad impiantarsi azioni e reazioni indicative di una certa evoluzione (o potremmo dire a buon merito involuzione) di determinati modelli comportamentali.
Quanto sono gravi atti come il bullismo e il cyberbullismo, l’aggressività nei confronti di persone più deboli o svantaggiate, soprattutto se questi vengono perpetrati continuativamente? I risultati destano perplessità e non pochi timori, visto che soltanto 3 su 10 ritengono questi comportamenti socialmente inadeguati e pericolosi. Il 70% invece non li giudica biasimevoli né li commentano in modo negativo. A preoccupare ulteriormente sono le motivazioni addotte per tali risposte: a volte si bullizza soltanto per il gusto di farlo, per vedere la reazione di chi subisce o peggio ancora perché dà euforia e costituisce per questo un antidoto alla noia.
I bulli esistono da sempre, ma le forme in cui si esplicano gli atteggiamenti di coercizione ed emarginazione sono in parte cambiati, e continuano a cambiare ogni giorno. E intanto i bulli proliferano esponenzialmente, complici anche una scarsa educazione a monte che rende mancante una parte fondamentale della possibilità di arginare un fenomeno in perenne crescita: la consapevolezza della gravità di questi comportamenti. Ancora una volta entrano in gioco le varie responsabilità: quelle delle prime agenzie formative, famiglia e scuola, ma anche quelle dello Stato, dei social e dei media in genere.
Abbiamo intervistato a tal proposito il dott. Pasquale Saviano, psicologo psicoterapeuta, più volte relatore in convegni dedicati al Bullismo.
Esiste un identikit, se così possiamo definirlo, del bullo? E della vittima?
Il bullo ha un forte bisogno di dominare gli altri, si mostra spesso impulsivo e si vanta della propria superiorità reale o presunta. Ha una bassa capacità di sopportare la frustrazione, rispettare le regole, tollerare ritardi, cambiamenti e contrarietà. Spesso usa l’inganno per trarsi d’impaccio e, al contrario di quanto spesso si pensa, non è ansioso o insicuro.
Ha una modalità reattiva di tipo aggressivo associato, nei maschi, alla forza fisica che tende ad autorafforzarsi e generare comportamenti negativi. Ha una buona considerazione dei comportamenti violenti, prediligendoli su tutti, nella ricerca dei suoi obiettivi.
Un altro mito da sfatare è che il bullo presenti deficit sociocognitivi. In realtà è capace di mettere in campo strategie comportamentali volte a sfruttare un’elevata conoscenza sociale e notevoli abilità nella comprensione della mente dell’altro per fini di manipolazione sociale.
Il bullo ricerca la vittima che abbia caratteristiche ben precise: età, mancanza di amici o fratelli, debolezza psicofisica… Tutte caratteristiche che possono sfuggire agli occhi di genitori ed insegnanti ma che sono molto chiari al bullo, che solo così può mettere in atto il suo comportamento vessatorio.
Alcune vittime provocano consapevolmente o inconsapevolmente, altre riescono a difendersi quando vengono molestate. Esistono ragazzini che tendono a “ripetere” un tipo di rapporto che hanno già vissuto con un fratello o con un adulto, trovando “normali” forme di maltrattamento che sono soliti subire dagli adulti. Altri, invece, possono non aver sviluppato quelle capacità necessarie per difendersi, o perché iperprotetti o perché sono convinti che per essere amati bisogna dimostrarsi deboli.
Non bisogna inoltre dimenticare che un ruolo altrettanto determinante viene svolto dai partecipanti, soggetti che presentano le caratteristiche di aggressività del bullo e contemporaneamente quelle di passività ed ansia della vittima.
Che effetto hanno sulla vittima le violenze messe in atto dal bullo? Come si può agire per aiutare chi vive questo dramma?
Le aggressioni e le offese hanno sulla vittima un effetto dirompente perché vanno ad intaccare diversi punti sensibili, generando anche psicopatologie: immagine di sé negativa, bassa autostima, impotenza ed infelicità. Agire sulla vittima significa migliorare la sua autostima, trascorrere del tempo con lei, facendo cose, apprezzandone e lodandone gli sforzi. Ciò permette all’adulto di proporsi come modello, di scoraggiare l’autodenigrazione ed insegnare il rispetto di sé.
La vittima può cercare strategie per “tenere testa” al bullo con l’utilizzo di risposte ad hoc che riescano a disorientarlo e a tenerlo in scacco. La comunicazione non verbale ha una grossa influenza sui bulli. La vittima potrebbe dunque da un lato provare a dimostrarsi superiore, dall’altro disinteressato ai tentativi di intimidirlo. Può essere utile inoltre mostrare un atteggiamento calmo.
Oggi siamo evidentemente di fronte ad un’emergenza bullismo, esasperata anche dall’uso massivo dei social network. La scuola, la famiglia, i ragazzi stessi: possono, e come, contrastare efficacemente questo problema?
Una prima dimensione da tenere in considerazione per la prevenzione del bullismo è quella della comunità (scuola, quartiere, città). Si tratta di un lavoro a più livelli in cui bisogna integrare le istituzioni necessarie ad agire sul fenomeno.
L’attività maggiormente riconosciuta ed efficace a livello internazionale è quella che prevede un forte intervento a livello scolastico. L’attivazione di una politica scolastica che favorisca il benessere degli studenti e proclami una linea ben chiara nei confronti del bullismo è il primo imprescindibile passo per ottenere risultati validi.
Un ulteriore passo avanti sarà rappresentato dalla chiara dichiarazione circa l’inaccettabilità di qualsiasi comportamento violento, accanto all’elaborazione di linee guida per favorire la cooperazione, nonché lo sviluppo di modalità per denunciare gli episodi.
Senza la partecipazione attiva e diretta degli studenti difficilmente però risulterà funzionale un programma anti-bullismo che deve preporsi questi tre principali obiettivi: aumentare la consapevolezza circa il problema; consentire l’acquisizione di competenze socio-emotive utili per difendere se stessi ed aiutare gli altri; migliorare le relazioni tra compagni, e tra adulti e studenti. Parallelamente vanno attivati percorsi specifici per insegnanti, al fine di approfondire le conoscenze sulle caratteristiche del fenomeno.
E il nucleo familiare? In che modo può e deve essere coinvolto al fine di non essere un semplice ricettore passivo bensì attore attivo nel contrasto al bullismo?
L’offerta di percorsi di informazione e sensibilizzazione deve necessariamente coinvolgere anche i genitori attraverso una parte integrante della normale attività educativa della scuola. Il coinvolgimento delle famiglie risulta essere tuttavia sempre il passaggio più ostico nella prevenzione. È fondamentale sviluppare per loro iter formativi che devono: informare e formare sul fenomeno, incoraggiare la partecipazione attiva e il senso di responsabilità, stabilire una sinergia, fornire supporto alle famiglie in difficoltà.
L’intervento rivelerà una piena efficacia laddove creerà in loro un’adeguata sensibilità circa il problema, insieme ad un bagaglio di competenze tale da renderli una risorsa per gli altri genitori.