(Adnkronos) – Ennesima fumata nera, l’ottava, del Parlamento riunito in seduta comune alla Camera per la scelta del giudice della Consulta. Fallisce il tentativo della maggioranza, definito dall’opposizione come un “blitz della Meloni”, di far eleggere (363 i voti richiesti, vale a dire i 3/5 dei 605 parlamentari) il giurista Francesco Saverio Marini, consigliere giuridico di Palazzo Chigi voluto dalla premier e considerato il padre del ddl di riforma costituzionale del premierato.
Numeri alla mano, i presenti e votanti sono stati 342 con 323 schede bianche, 10 nulle, e 9 ‘preferenze disperse’. Oltre 20 gli assenti nel centrodestra. Ma questo dato va valutato con le pinze visto che l’ordine di scuderia partito ieri mattina dai vertici della coalizione di puntare sulla ‘bianca’ aveva depotenziato lo scrutinio (per sostituire Silvana Sciarra, che ha concluso il suo mandato l’11 novembre del 2023), destinandolo a un nulla di fatto.
“Ci siamo sentiti e coordinati, compatti li abbiamo fermati, ora serve il dialogo”, esulta la segretaria del Pd Elly Schlein, rivendicando l’unità dei partiti di minoranza che senza ricorrere all’Aventino non hanno partecipato al voto, entrando in Aula ma senza ritirare la scheda. La scelta di optare per la scheda bianca nel centrodestra sarebbe maturata ieri prima delle 11.
Infruttuose le interlocuzioni del giorno prima, proseguite fino a notte fonda. In tarda mattinata la coalizione di governo preferisce evitare la conta, dopo aver constatato che nella tornata sarebbero mancati i voti necessari per l’upgrade di Marini.
In una nota i capigruppo di maggioranza avvertono: “I nostri parlamentari voteranno, per l’ultima volta, scheda bianca, auspicando che anche nell’opposizione prevalga il rispetto delle istituzioni piuttosto che le logiche di parte”.
Al termine della nuova fumata nera però i meloniani non ci stanno e lasciano intendere, almeno in pubblico, che Marini sarà riproposto la prossima volta, perché “non c’è nessun conflitto di interessi”, assicurano da Fdi: basti pensare al caso del consigliere giuridico del presidente del Consiglio Mario Draghi Marco D’Alberti, diventato giudice costituzionale pur avendo avuto in precedenza un incarico a Palazzo Chigi.
“Non possiamo tenere bloccata l’Italia perché le opposizioni sono divise tra loro”, tuona Giovanni Donzelli, responsabile organizzazione del partito di via della Scrofa. Che aggiunge: “Se le opposizioni pensano di bloccare le istituzioni a vita fino a quando la maggioranza non fa quello che dicono loro sbagliano, fanno male alle istituzioni e a se stessi. Il tema è molto semplice: il loro gioco è ‘blocchiamo la democrazia e l’Italia perché Meloni ha vinto le elezioni’, ma non funziona così. Sono passati due anni, accettino la realtà: hanno perso le elezioni”.
Gli fa eco il presidente dei deputati, Tommaso Foti: “Se vogliono bloccare la Corte Costituzionale, qualcuno se ne assumerà la responsabilità”. Per il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida la scelta delle opposizioni di non votare “non la capisco, l’Aventino è una cosa incomprensibile. L’Aventino – spiega – è stato scelto in un periodo nefasto della nostra storia, nella quale era conculcata la libertà dei parlamentari, non è questa la situazione attuale”.
Tuttavia nelle file di Fdi non manca chi vorrebbe evitare le barricate su Marini e opta per una soluzione condivisa. “Non c’è nulla da fare, servono i voti anche dall’altra parte…”, dice a mezza bocca un deputato. E una vecchia volpe della politica come Bruno Tabacci, esponente di Centro democratico, canta il de profundis di Marini: “Non credo che il suo nome sarà riproposto”.
Soddisfatte le opposizioni, stavolta unite, per essere riuscite a fare muro. Un successo, senza dubbio. Ma ognuno lo ‘festeggia’ da sé. Le tensioni che attraversano il centrosinistra hanno una rappresentazione plastica in Transatlantico: i leader ciascuno con i propri parlamentari. Come stamattina al convegno Gimbe, dove sulla sedia accanto a Schlein c’è il segnaposto di Giuseppe Conte che però resta in fondo alla sala, in piedi. Una distanza, anche fisica, che viene notata dai cronisti. Comunque, al netto del momento difficile nei rapporti tra le opposizioni, la linea unitaria ha premiato.
“La compattezza delle opposizioni ha fermato la forzatura della maggioranza”, sottolinea Schlein. E poi Conte: “Stamattina è fallito il blitz organizzato da Meloni in persona per consentire alla sola maggioranza di eleggersi il giudice della Corte Costituzionale. Li abbiamo lasciati da soli in Aula con le loro paranoie, a scovare i traditori dentro Fratelli d’Italia”. Quindi Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni: “Presidente Meloni, fare le prove muscolari su organismi di garanzia come la Corte Costituzionale è un pessimo segnale”.
Caustico Riccardo Magi: “Meloni ha tentato il blitz sulla Consulta ed è stata una débâcle nel metodo e nel merito”. Ora le opposizioni chiedono che si riporti il dossier Consulta nei binari della “corretta dinamica parlamentare e costituzionale”. “Se esiste una maggioranza qualificata per questo voto – rimarca Schlein – è proprio perché la Costituzione prevede un dialogo tra maggioranza e opposizione. E quando dico dialogo intendo non chiamate spicciole a parlamentari dell’opposizione, ma dialogo con le opposizioni sulla composizione della Corte Costituzionale”. Al Pd non sarebbe arrivata nemmeno “mezza chiamata”.
“Siamo la prima forza dell’opposizione ma non ci hanno cercati. Altri invece sono stati contattati…” sostengono fonti parlamentari dem. Il clima resta denso di sospetti. Tanto che in Transatlantico più di uno scommette che se non si fosse riusciti a tenere il fronte compatto sulla non partecipazione al voto, le cose sarebbero potute finire diversamente. “O Meloni pensava di chiudere il blitz su Marini col sostegno di qualcuno tra le opposizioni o non si spiega il suo tentativo di forzare”, il refrain nel ‘corridoio dei passi perduti’.
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