Si inaugura, presso la SACI Gallery di Firenze, in occasione della 3a edizione del BHMF Black History Month Florence, la mostra Connaissance du Monde dell’artista ivoriano Frédéric Bruly Bouabré a cura di Antonella Pisilli.
Lo scrittore Amadou Hampâté Bâ davanti all’assemblea dell’Unesco nel 1962 disse “In Africa ogni volta che un anziano muore è come se bruciasse una biblioteca”.
Quando il 28 gennaio del 2014 è morto Frédéric Bruly Bouabré un patrimonio di conoscenza si è perso per sempre ma nella sua lunga vita l’artista ci ha donato migliaia di “feuilles volages”, disegni in formato cartolina che rimangono a testimoniare il suo importante lavoro e hanno lasciato una traccia del sapere universale del mondo.
Nato a Zepregue Daloa ufficialmente nel 1923, ma in realtà nel 1921, nella sua lunga vita ha lavorato incessantemente ogni giorno per trasmettere al suo popolo prima e al mondo poi, la conoscenza dell’universo, occupandosi di tutti campi del sapere, fu scrittore, artista, narratore, filosofo, saggio, mistico, inventore, ricercatore, pacifista, insegnante, poeta, comunicatore, profeta, studioso, visionario, osservatore, documentarista e archivista del mondo che lo circondava.
Il lavoro di Frédéric Bruly Bouabré inizia con una visione: la “Vision du soleil”.
Giovedì 11 marzo del 1948 si aprì nel cielo, davanti ai suoi occhi il sole che si divise in altri sette sfere colorate e descrisse un cerchio di bellezza intorno alla madre sole, in quell’istante Bouabré diventò Cheik Nadro, ‘Colui che non dimentica’.
Dal momento della rivelazione ha iniziato a disegnare su delle piccole cartoline tutto ciò che era nascosto sulla superficie delle cose, dalle forme sulle bucce dei frutti, alle immagini dei giornali, a tutto ciò che vedeva e che pensava fosse necessario per archiviare il mondo, un lungo lavoro, perpetuato per 60 anni che ha raccolto in un’enciclopedica opera dal titolo “Connaissance du monde”.
Frédéric Bruly Bouabré, si è dedicato oltre che al disegno anche alla scrittura perché voleva che la lingua parlata venisse trascritta e diventasse testo scritto, per questo inventa un alfabeto.
Frédéric Bruly Bouabré racconta che nel villaggio vicino a Daloa, a Bekora, c’erano dei piccoli ciottoli neri molto famosi per la loro bellezza, andò a Bekora e li prese, sembravano scolpiti e pensò fossero elementi di una scrittura antica. In quegli stessi giorni feci un sogno e una voce gli rivelò di pronunciare, al risveglio, il nome dei segni che aveva riconosciuto.
Da questa seconda rivelazione riuscì con fatica e molto lavoro a trovare l’equivalenza tra suoni e segni e da lì disegnò 500 sillabe. Questa totalità è ciò che chiama un sistema di scrittura, l’alfabeto Bété.
Questo lavoro riflette il pensiero universale di Frédéric Bruly Bouabré, in cui tutti gli uomini sono fratelli e tutti dovrebbero capirsi l’un l’altro attraverso l’uso di una medesima scrittura.
Il “nuovo Champollion” ha continuato fino alla sua morte con penna a biro e matite colorate il lavoro di trascrizione della poesia e della narrazione tradizionale Bété e raccontato storie, dalla mitologia cosmica fino agli ultimi avvenimenti della vita politica internazionale.
Dal 1958 quando l’antropologo e naturalista francese Théodore Monod, direttore dell’Istituto francese in Africa pubblicò il suo sillabario, Frédéric Bruly Bouabré ha cominciato ad essere conosciuto fuori dal suo villaggio.
Scoperto da André Magnin nel 1989 il suo lavoro venne presentato per la prima volta in Europa alla mostra “Magiciens de la terre” e da lì in un’escalation di esposizioni internazionali e di riconoscimenti lo hanno decretato uno degli artisti africani più significativi del panorama artistico internazionale.
Durante la mostra verrà proiettato il film “Nadro” (1998) della regista Ivana Massetti, la quale con un affascinante stile visivo, ci conduce nelle tappe fondamentali della vita di Bouabré. Ivana Massetti del suo film dice: “Il film cattura tutto ciò che non esisterà più nel prossimo millennio. Tutto questo non lo rivedremo mai più“.
Nel prossimo futuro, questa figura entrerà a far parte di un’iconografia che sarà studiata e comunicata su Internet, l’immagine virtuale di una realtà virtuale. Nel film, l’uomo e l’artista coesistono.
“Nel film, il suo volto è lì, la sua espressione ostinata, il suo sguardo, la sua voce. Una presenza reale, non un eco. E’ la gioia, il calore e la bellezza di un incontro. Il nostro incontro. Il compimento di un viaggio. Un viaggio di iniziazione, in cui lo sguardo del discepolo magnifica il maestro. Storie possibile solo tra esseri umani”.
Le opere esposte fanno parte della Collezione di arte contemporanea africana Kyo Noir.