Sono stati pubblicati gli ultimi dati dell’Indice Sintetico del Checkup elaborato da Confindustria e SRM-Studi e Ricerche per il Mezzogiorno (centro studi collegato al gruppo Intesa San Paolo). L’Indice stima lo stato di salute dell’economia del Sud, e i suoi movimenti più recenti sono ulteriormente negativi rispetto ad un passato già opaco.
In questa prima parte di 2014, infatti, il Mezzogiorno registra un saldo tra imprese iscritte e cessate in negativo per oltre 14mila unità. Da inizio anno hanno chiuso mediamente 573 imprese al giorno, e la percentuale dei fallimenti è aumentata del 5,7% rispetto allo stesso periodo del 2013. Per Confindustria incide molto il ridotto volume degli investimenti pubblici e privati, diminuiti di circa 28 miliardi di euro tra il 2007 e il 2013 (-34%). Oggi gli investimenti pubblici al Sud sono tornati ai livelli del 1996, con una spesa in conto capitale ridotta di 5 miliardi di euro tra il 2009 e il 2013. Tutto negativo? No, però di buono c’è pochino. Bene l’export (+2,4% rispetto al 2007), bene il numero delle società di capitali (+3,2 rispetto al 2013), bene quello delle imprese condotte da giovani (50mila solo nel 2013) e anche le cifre di un certo turismo che sembra essere tornato almeno in alcune regioni.
Il Mezzogiorno va male, allora, e non si capisce perché ormai non si chiami Mezzanotte. D’accordo. Ma se da un lato questa sembra essere la solita storia, dall’altro il resto del Paese non brilla. I dati pubblicati di recente da Il Sole 24 ore sugli effetti della crisi economica in Italia dal 2007 al 2013 raccontano una storia in tono minore per molti, da Sud a Nord. I dati si basano su 10 indicatori individuati dal quotidiano, come il reddito delle famiglie, i risparmi, il costo delle case e i disoccupati (l’elenco completo lo trovate qui). Stilando una classifica delle 100 province italiane maggiormente colpite dalla crisi emerge una situazione senza sconti geografici. La top 10 è un buon assortimento: Viterbo, Latina, Novara, Cosenza, Nuoro, Cagliari, Terni, Messina, Grosseto, Reggio Calabria. Dalla 10 alla 20 ben sette province sono a Nord, a testimonianza di un periodo duro anche per Cuneo e Udine, Rimini e Asti, Alessandria, Piacenza e Bergamo.
Può rivelarsi utile dare uno sguardo al Rapporto annuale Istat 2014, che fotografa la situazione del Paese nella sua interezza e indica alcune tra le cause della crisi, della mancata crescita o di una crescita più contenuta rispetto ad altre realtà europee. Rispetto ad indicatori OCSE, pur migliorando la sua competitività l’Italia soffre ancora un significativo gap con i suoi concorrenti. Un esempio riguarda proprio le imprese. Bene i tempi per avviare un’attività – tra i più bassi in Europa – male i costi: in Italia avviare un’impresa costa il doppio che in Germania, il triplo della Spagna, 16 volte quello richiesto in Francia, 47 volte in Gran Bretagna. Anche tempi e costi della giustizia civile ostacolano non poco l’attività imprenditoriale: i procedimenti richiedono mediamente il triplo del tempo rispetto alla media OCSE e costi più elevati della media UE. L’eccessiva burocrazia, poi, rappresenta un freno allo sviluppo dell’imprenditoria. Il 34% delle imprese con almeno 3 addetti soffre il dovere ai troppi adempimenti. Cose che, insieme ai (mancati) investimenti, hanno comunque il loro peso.