Quanto incide un piatto di spaghetti al pomodoro e basilico a livello ambientale? In futuro le etichette potrebbero indicare non solo la scadenza degli alimenti, ma anche l’impatto in termini di sostenibilità del loro ciclo di vita ‘dalla culla alla tomba’, cioè il consumo di risorse naturali nelle pratiche agricole e nella trasformazione della materia prima e l’incidenza dello smaltimento degli scarti e rifiuti. Analogamente a quanto fanno, in parte, le case produttrici di auto che riportano le emissioni di CO2 dei loro veicoli. Il costo ambientale degli alimenti, ovvero il ‘Food print’ è il tema di una conferenza organizzata dall’Istituto di biometeorologia del Consiglio nazionale delle ricerche (Ibimet-Cnr) ad Expo, Padiglione Italia.
“Food-print vuole rispondere alla sfida lanciata da Expo2015, cioè se è possibile assicurare a tutta l’umanità un’alimentazione buona, sana, sufficiente e sostenibile” spiega Pierpaolo Duce dell’Ibimet-Cnr, coordinatore dell’evento. “Non basta più puntare solo sulla qualità sensoriale dei prodotti: la nuova politica agricola comunitaria (Pac) spinge verso processi produttivi con alte performance ambientali. Le aziende che producono formaggi, latte, olio, vino, pasta e derivati cerealicoli hanno già certificato questo percorso, spinte necessità di adeguarsi alle normative Ue e dall’emergere di una fetta di consumatori sensibili alla compatibilità“.
Ma come si valuta il food print? “Per produrre il latte, ad esempio, ci vuole una macchina mungitrice, che ha necessità di acqua e di energia elettrica. Questi consumi sono allora trasformati in emissioni di anidride carbonica equivalente. La mungitrice inoltre dovrà essere prima costruita, quindi una frazione delle emissioni necessarie per costruirla andrà a pesare sul costo del litro di latte o del chilo di formaggio” commenta Duce. “Insomma non si contabilizzano solo le emissioni effettive che si possono avere bruciando carburante per l’uso di mezzi agricoli, ma anche quelle indirette“.
Nel settore zootecnico notevoli emissioni di metano derivano dalla fermentazione enterica dei ruminanti, dal letame e dai liquami. “Questo gas serra ha un potere alterante del clima che è 20 volte superiore a quello della anidride carbonica e la lavorazione dei mangimi impatta per quasi la metà delle emissioni totali nella zootecnia. Un uso più diffuso delle migliori pratiche e tecnologie già esistenti per l’alimentazione, la salute e l’allevamento animale e la gestione del letame può contribuire a tagliare fino al 30% dei gas serra“, conclude il ricercatore. “La nuova Pac 2014-2020 sposa le strategie di Europa 2020 sulla riconciliazione tra economia ed ecologia. Questo asse portante sarà accompagnato da riconoscimenti economici per gli agricoltori che si metteranno in linea con le politiche europee“.