Con Il profumo dell’iris (Gazebo, 2018), Roberto Mosi è arrivato a pubblicare una dozzina di volumi di poesia: Itinera (Masso delle Fate, 2007); Florentia (Gazebo, 2008); Nonluoghi (Comune Firenze, 2009); Aquiloni (Il Foglio, 2010); Luoghi del mito (Lieto Colle, 2010); L’invasione degli storni (Gazebo, 2012); Concerto (Gazebo 2013); La vita fa rumore (Teseo, 2015). Ha pubblicato anche volumi in prosa: il romanzo fantasy Non oltrepassare la linea gialla(Europa Edizioni, 2014); la guida storica Elisa Baciocchi e il fratello Napoleone. Storie francesi da Piombino a Parigi (Il Foglio, 2013).
Fiorentino, ex dirigente per la cultura alla Regione Toscana, si interessa di letteratura, saggistica, fotografia; anzi, gioca con le parole della poesia, del racconto, con le immagini della fotografia, come suol dire egli stesso. Con quest’ultima disciplina ha realizzato importanti mostre presso il Circolo degli Artisti “Casa Dante”, caffè letterari, biblioteche, dedicate, in particolare, al rapporto tra testo, immagine fotografica e pittura.
Sfogliando queste 81 pagine di Il profumo dell’iris, fitte di poesia, il lettore si fa subito un’idea su cosa verte il volume, già leggendo l’incipit della nota d’autore («Il libro raccoglie poesie dedicate alla città dove l’autore vive, alcune inedite, altre riprese da precedenti raccolte, a partire da Florentia [op. cit.]). Per chi non l’avesse ancora capito la città in questione è Firenze dove Mosi è nato, che ha per simbolo – appunto – l’iris.
Mosi, che ha suddiviso il volume in tre sezioni (Piazze, Le strade, Le colline) ci conduce in un percorso avvincente tra vedute turisticge, ma anche labirintico per chi non conosce Firenze e dintorni, fatto di immagini storiche e naturalistiche, immergendoci e facendoci partecipe delle bellezze e dei suoi ricordi legati alla città toscana, la grande mamma, come la definisce.
Scritto con un linguaggio semplice e scorrevole, come la semplicità e la scorrevolezza del quotidiano – nonostante si pensi il contrario, cioè che il quotidiano scorre inesorabile e indifferente nei confronti dei nostri problemi, il che è anche vero –, bellezze storia e vita giornaliera s’incontrano, sorrette dalle anafore di Le Murate, Le Cure, La Cupola, D’agosto, Sui marciapiedi, Quartiere popolare, etc., e da una lieve ironia, perfino con tratti giocosi, con il pensiero e l’arte di artisti e poeti che hanno calcato le sue strade, lasciando tracce indelebile, ammirato le sue bellezze e altrettanto ne hanno creato, con la bellezza dei suoi monumenti che l’hanno resa famosa nel mondo, chiudendo con l’anafora Amo le parole, una metapoesia che si eleva da tutte le altre legate a Firenze, posta alla fine del volume finale:
Amo le parole
che si sollevano dalle strade
con il respiro della poesia.
Amo le parole
che rotolano per terra
vestite di pane e di vino.
Amo le parole
che vagano nella mente
nel silenzio assordante dell’io.
Amo le parole
che navigano sul mare
verso l’isola di ogni perché.
Amo le parole
che volano nel mondo
con i colori della pace, p. 81.
Ma questo percorso di Mosi si conduce verso scorci urbani poco noti, verso la nuda realtà della periferia, delle stazioni ferroviarie, delle fabbriche di Novoli, di Rifredi, della Fiat o di quelle di cui restano solo ricordi, della bellezza delle sue colline come Fiesole, alla riscoperta della vera anima di Firenze, dove s’incontrano bellezze e contraddizioni del nostro tempo:
Dove nascono le parole dei bambini?
Bum ba, bi bi, co co, grash, grush
C’è un castello incantato sulle nubi,
tre vecchiette e un salotto in stile,
si beve Martini con le tartine.
Dalla torre scrutano i bambini
mentre cuociono le parole sul fuoco:
nella pentola grande bolle ma-mma,
nelle altre nubi di sillabe colorate.
Un passero prende i suoni col becco,
li fa cadere nella bocca dei bambini.
ma-mma, cin cin, ba ba, bumba.
Dove nascono le storie dei nonni?
(Sopra il cielo di Firenze, p. 72)
In conclusione si tratta di poesie che raccontano senza troppa enfasi e sublimazione, ma in modo partecipativo, una città, i suoi umori e quelli dell’autore, le sue problematiche, la durezza della realtà non dissimile da altre grandi città, come la poesia dedicata al carcere delle Murate («… E venne il tempo del carcere / delle Murate. Storie / di disperazione trovano / componimento dai quartieri / popolari. Il fiume bussò / alle porte del carcere / il mese di novembre / e volle le sue vittime…, Le Murate, p. 15), la vita quotidiana dei suoi abitanti attraverso le poesie Il mercato dei cenci, La stazione, il Casone dei poveri; la vita per strada dei senza tetto, dei dannati come li chiama Mosi, che non hanno un domani (Sui marciapiedi); gli angoli naturali, le vie, le piazze, il fiume Arno, il famoso Ponte Vecchio, il salotto buono de “Le Giubbe Rosse” dove la poesia e l’arte è di casa, la già citata collina di Fiesole. Insomma le bellezze di Firenze ma anche le brutture, di una Firenze antica e contemporanea, quasi una mappa “poetica”, una guida della città soprattutto per chi la ama e la sa apprezzare.