La filiera della pasta è uno dei capisaldi del sistema agroalimentare del nostro Paese. Come emerge dalle tabelle riportate di seguito, l’Italia è il maggior produttore mondiale di grano duro (dalla cui macinazione si ottiene la semola per la produzione della pasta), ma anche uno dei maggiori importatori. La sua importazione è infatti indispensabile per poter alimentare la forte industria di trasformazione rappresentata dai mulini, dai produttori di pasta e prodotti da forno.
Mantenere elevata la qualità di un settore tanto importante per l’economia, la tradizione e l’identità italiane è fondamentale, ma richiede un impegno preciso. La filiera italiana va valorizzata e difesa, e Compag, la Federazione Nazionale del Commercio Agricolo, lo fa con convinzione, partecipando ad un dialogo che coinvolge le varie parti e porti al più importante protocollo di intesa italiano.
Il protocollo, siglato da AIDEPI (Associazione delle Industrie del Dolce e della Pasta Italiane, Alleanza delle Cooperative Agroalimentari), CIA (Agricoltori italiani), Confagricoltura, Copagri (Confederazione Produttori Agricoli) e ITALMOPA (Associazione Industriali Mugnai d’Italia), coinvolge un numero di firmatari corrispondente quasi alla metà di tutta l’agroindustria italiana, per un valore di circa 60 miliardi di euro. Il settore agricolo, infatti, comprende oltre 3 milioni di associati, 1,1 milioni di imprese agricole e 5 mila cooperative agroalimentari distribuite su tutto il territorio nazionale, il comparto molitorio soddisfa oltre l’80% della capacità totale di trasformazione del frumento in Italia, mentre l’industria della pasta conta 100 imprese, dando impiego, in Italia, a ben 7500 persone e generando 4,7 miliardi di euro. Un settore, dunque, che va indiscutibilmente protetto.
Sono 5 gli ambiti di intervento definiti dal protocollo per la valorizzazione della filiera grano-semola-pasta e la tutela della qualità del grano duro italiano. Ognuno di essi è legato a provvedimenti concreti e precise operazioni a medio termine:
1 – Incrementare la disponibilità di grano duro nazionale di qualità, e prodotto in modo sostenibile, per venire incontro alle esigenze dell’industria molitoria e della pasta.
2 – Incentivare e sostenere l’agricoltura virtuosa, con premi di produzione legati al raggiungimento di standard qualitativi del grano e alle caratteristiche del territorio di produzione.
3 – Concentrare progressivamente l’offerta di grano duro e censire i centri di stoccaggio idonei alla conservazione del grano duro di qualità.
4 – Stimolare formazione, ricerca e innovazione nella filiera italiana grano-semola-pasta attraverso corsi di formazione e aggiornamento professionale per agricoltori e operatori del settore e strumenti informatici volti a incentivare l’adozione di pratiche agricole più sostenibili, l’impegno ad attivare collaborazioni con enti di ricerca per calcolare il punto di pareggio dell’impresa agricola nei vari areali di produzione e per sviluppare nuove sementi certificate con le caratteristiche richieste dal mercato e funzionali all’eterogeneità del territorio italiano, così come programmi specifici per la valorizzazione dei grani autoctoni.
5 – Promuovere e difendere in maniera coesa un’immagine forte della pasta italiana, e garantirne la sicurezza anche attraverso la tracciabilità informatica dei vari passaggi della filiera.
La qualità dell’agroalimentare non è solo uno slogan o un’azione di marketing, ma un’esigenza fermamente perseguita dal consumatore, che ogni giorno sceglie con cura e consapevolezza il cibo da mettere in tavola. Ma qualità è anche l’obiettivo dei produttori italiani e degli operatori che agiscono nelle filiere agro-alimentari dalla campagna alla tavola.
I mass media italiani parlano di Brexit solo in riferimento alle grandi strategie, impedendo così di vederne le conseguenze pratiche e le ricadute sulla nostra quotidianità. Nel Regno Unito, invece, è in corso un acceso dibattito sulla sicurezza e sulla qualità alimentare, perché la necessità di dover stringere nuovi accordi commerciali con i paesi extra UE mette l’Isola d’Oltre Manica nella posizione di dover rispondere alle richieste di quei Paesi di aprire le frontiere alle loro produzioni agricole, abbattendo le barriere poste dall’Unione Europea.
È il caso, ad esempio, degli Stati Uniti, che chiede che gli inglesi di accettare sulle proprie tavole, per esempio, le sementi OGM (di cui loro sono grandi produttori e che in Europa sono bandite), ma anche le carni ottenute da bestiame a cui vengono somministrati ormoni o da pollame trattato con il cloro, vietati nell’Unione Europea. Di fronte a tali prospettive i consumatori britannici hanno dissotterrato l’ascia di guerra perché non sono disposti a cedere a tali compromessi a dimostrazione della grande sensibilità, ma anche della maggiore informazione che hanno i consumatori europei rispetto agli Americani. Quale sarebbe la reazione in Italia è facile da immaginare.
Per poter proteggere e promuovere le nostre produzioni e renderle maggiormente competitive, non bisogna rinunciare alla qualità. La soluzione sta nella via, sicuramente meno agevole e più impervia, del dialogo tra partner per creare il valore aggiunto che solo la qualità può garantire.