La Commissione Grandi Rischi ha espresso il suo parere su un eventuale terremoto nei Campi Flegrei. In un documento emerso in modo non ufficiale, gli esperti tracciano un quadro tutt’altro che rassicurante. Nelle scorse settimane, Eugenio Coccia, presidente della Commissione, e Nello Musumeci, ministro della Protezione civile, avevano lanciato dei timidi segnali di allerta.
Commissione Grandi Rischi: il report su un eventuale terremoto nei Campi Flegrei
Riunitasi nei giorni 26 e 27 ottobre e, successivamente, il 2 e 3 novembre, la Commissione Grandi Rischi ha riscontrato le seguenti criticità:
- risalita del magma verso la superficie
- insufficiente resistenza del suolo
- improbabile incapacità della rete di monitoraggio nel cogliere i segnali premonitori di un eruzione
Analizziamo i punti uno alla volta:
Risalita del magma verso la superficie. Secondo gli esperti il magma sarebbe risalito da un serbatoio sito a 7/8 chilometri di profondità a un altro situato a 4 chilometri. Questa risalita sarebbe avvenuta dal 2015 al 2022 e sarebbe testimoniata dall’analisi dei gas provenienti dalle fumarole. Le analisi evidenziano, infatti, una crescita di idrogeno solforato, un elemento che non è di origine solo idrotermale ma anche magmatica. Il suo aumento, quindi, sarebbe frutto di una presenza più importante di magma. La risalita del magma verso la superficie potrebbe portare, a sua volta, a eruzioni freatiche. Tali eruzioni si possono verificare quando il magma riscalda il suolo e l’acqua: in questi casi hanno luogo esplosioni di vapore, acqua, cenere, bombe vulcaniche e rocce.
Il ruolo del monitoraggio
Quest’ultima considerazione ci porta direttamente al punto 2 dell’analisi: la struttura geologica dei Campi Flegrei. Gli studiosi hanno evidenziato che, tra i 100 e i 200 metri di profondità, il suolo della zona ha una struttura argillosa (e fin qui nulla di nuovo) di una resistività considerata media. Ciò vuol dire che il suolo non sarebbe in grado di far fronte alla pressione dei liquidi.
Nel rapporto della Commissione gli studiosi precisano che è difficile fare delle previsioni sul quando si potrebbero verificare le ipotesi di un’eruzione. Uno dei segnali premonitori è sicuramente la deformazione del suolo. Le immagini satellitari riportano un livello di deformazione tale che la frattura della crosta potrebbe raggiungere livelli critici presumibilmente in un arco di tempo che va da pochi mesi ad alcuni anni.
Arriviamo, dunque, all’ultimo punto: il monitoraggio del fenomeno. Gli esperti della Commissione ritengono che l’attuale rete di monitoraggio non sia sufficiente a cogliere i segnali anticipatori di un’eventuale eruzione nel caso in cui questi siano di entità lieve.
In base ai dati raccolti, la Commissione sottolinea la necessità di raccogliere i dati sulla risalita del magma relativi al 2023 e prestare particolare attenzione alla fascia compresa tra i 4 chilometri di profondità e la superficie. In questo scenario, le autorità devono essere pronte a un rapido passaggio di allerta a un livello superiore.
L’informazione e la comunicazione
Nel corso dell’audizione in Commissione Ambiente della Camera, sia il presidente della Commissione Eugenio Coccia, sia il ministro della Protezione civile Nello Musumeci avevano mantenuto toni molto pacati sulla situazione nei Campi Flegrei. In certi passaggi, in riferimento al passaggio di livello dell’allerta, era sembrato che andassero su binari diversi.
Al di là dei dati raccolti e della possibilità di fare previsioni, quanto esposto finora evidenza una cosa su tutto: una mancanza di comunicazione e di informazione degli esperti alle autorità locali (in capo alle quali, ricordiamolo, cade la responsabilità della salute pubblica) e alla cittadinanza che in caso di emergenza sarà attivamente coinvolta nelle operazioni di evacuazione del territorio.