In Italia 2650 Comuni, un terzo del totale, hanno ad oggi adottato il PAES, il Piano d’azione per l’energia sostenibile (1756 quelli approvati), quale atto concreto di adesione al Patto dei sindaci, movimento europeo che ha risposto all’appello dell’Europa per la riduzione entro il 2020 del 20% delle emissioni di Co2, tra le principali cause dei cambiamenti climatici: siamo in Europa il Paese con il maggior numero di adesioni.
Rispetto al “Piano di adattamento“, invece, che prevede la programmazione di azioni strutturate per rendere le città “resilienti”, ossia capaci di fronteggiare e mitigare le conseguenze dei mutamenti del clima sui territori, sono appena 150 i Comuni italiani che hanno intrapreso questo percorso, piuttosto complesso nella pianificazione e oneroso dal punto di vista economico per gli investimenti richiesti. Si pensi che per la sola messa in sicurezza del territorio italiano si stima la necessità di interventi per 40 miliardi di euro.
È la fotografia del Paese emersa in questi due giorni di lavori della XVII Assemblea del Coordinamento Agende 21 Locali Italiane, che riunisce oggi quasi 500 Regioni ed enti locali impegnati a migliorare la gestione dell’ambiente e a fare dello sviluppo sostenibile un passo verso un futuro più equo.
Un Paese il nostro, che se da un lato vanta esperienze di eccellenza sui territori, dall’altro paga quarant’anni di assenza di interventi nazionali mirati e di mancata lungimiranza da parte della politica, che poco ha investito su questi fronti, a partire dalla messa in sicurezza del territorio.
Un osservatorio privilegiato quello delle città e delle comunità locali, che, al di là delle politiche di Governo sui temi, hanno un grande ruolo in termini di mitigazione degli effetti e di adattamento, per rendere le città meno vulnerabili e in grado di re-agire in caso di alluvioni, siccità e altre conseguenze del mutamento del clima. Sono loro a poter intervenire sulle aree urbane mettendo insieme i diversi attori – istituzionali, economici, della società civile –, ad avere le competenze per farlo. Certo è un problema anche di strumenti e naturalmente di risorse, ma oggi le opportunità sono maggiori, a partire proprio dai network nati per cooperare e dai programmi di finanziamento, per primi quelli europei.
Tra le buone pratiche raccontate quella del Comune di Padova, la prima città del Veneto, e tra le prime in Italia, ad aver adottato il PAES e ad averne già effettuato il monitoraggio: grazie alle azioni concluse e a quelle ancora in corso, è stato possibile evitare la produzione di 97.236 tonnellate all’anno di Co2 (pari al 24% dell’obiettivo 2020), alle quali si andranno ad aggiungere altre 98.760 tonnellate all’anno di Co2 (corrispondenti a un ulteriore 25%) quando le azioni in via di attuazione saranno concluse; infine, le misure non ancora avviate contribuiranno al raggiungimento dell’obiettivo complessivo con una riduzione di 202.915 tonnellate di Co2 all’anno.
Sempre finalizzato alla riduzione di Co2 è il progetto dell’Isola d’Elba (Livorno) per diventare la prima isola del Mediterraneo tendenzialmente “oil free“; tra i suoi aspetti innovativi la partnership tra pubblico e privato finalizzata alla realizzazione e applicazione del PAES (presentato nel 2014), che indirizza gli interventi verso ambiti di investimento e innovazione interessanti anche per le imprese.
Buone pratiche anche da Desenzano del Garda, sede di questi due giornate di lavori, che da due anni ha attivato la raccolta differenziata porta a porta in tutto il territorio, raggiungendo in così poco tempo una percentuale di differenziato che supera il 60%. Ha inoltre attivato la sostituzione di tutti i punti di illuminazione pubblica (oltre 6000) con lampade a led e l’efficientamento energetico degli edifici pubblici, tramite una Esco selezionata con bando pubblico.
E ancora San Benedetto del Tronto (Ascoli Piceno), Comune particolarmente attivo del panorama italiano (circa 47mila abitanti) che si distingue per l’attivazione di un servizio di raccolta differenziata che ogni anno permette di evitare 6.651,72 tonnellate di Co2; ha promosso il “Progetto Salute e Benessere del Territorio“, con cui ha chiamato la cittadinanza a prendere parte attiva alla pianificazione delle politiche urbane; ha anche vinto il premio “Spendere senza soldi” di Kyoto Club con un progetto che permette di produrre due megawatt di energia grazie a pannelli fotovoltaici installati sui tetti degli edifici pubblici e su alcuni parcheggi cittadini. Oltre ad aver attivato il PAES, San Benedetto ha da poco aderito alla campagna Mayors Adapt, e ora si appresta a redarre il proprio piano di adattamento contro i cambiamenti climatici.
Tra i primi Comuni italiani a rispondere all’appello della campagna europea quelli di Bologna e Ancona.
Con il progetto europeo LIFE ACT (Adapting to climate change in time), il Comune di Ancona ha sperimentato un modello partecipato di definizione del Piano locale di adattamento ai cambiamenti climatici insieme ai Comuni di Bullas (Spagna) e Patrasso (Grecia), con il supporto tecnico dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) e in collaborazione con il Forum delle città dell’Adriatico e dello Ionio (Faic).
A fare da comun denominatore nel confronto e nella cooperazione tra le tre città alcune problematiche tipiche del bacino del Mediterraneo, una delle regioni più vulnerabili agli effetti dei cambiamenti climatici in Europa: dissesti idrogeologici, erosione costiera, biodiversità a rischio, ma anche impatti sui versanti sociale ed economico.
Altra esperienza quella del Comune di Bologna. Il suo progetto BLUE AP (Bologna Local Urban Environment Adaptation Plan for a Resilient City, LIFE+) vede il coinvolgimento di altri tre partner: Kyoto Club, Ambiente Italia e ARPA Emilia Romagna. Iniziato a ottobre 2012 e ora in via di conclusione, il progetto è partito dall’analisi delle vulnerabilità del territorio (siccità e carenza idrica, ondate di calore nell’area urbana, alluvioni e rischio idrogeologico), e ha individuato per ciascuna alcune “azioni pilota” da attuare con la partecipazione di imprese e attori locali; le principali riguardano: la riduzione dei consumi idrici a Fico (la cittadella del cibo che sorgerà a Bologna nel 2016); un nuovo regolamento del verde; nuove linee guida per il drenaggio urbano sostenibile.
Ma accanto ai canali di finanziamento europeo di tanti progetti, anche l’iniziativa 100 Resilient Cities promossa dallaRockefeller Foundation sta portando un interessante contributo in termini di sollecitazione culturale, come di sostegno economico. Il progetto si prefigge, infatti, di aiutare le città ad affrontare le sfide della trasformazione urbana e quelle nuove in termini di cambiamenti climatici e di pressioni socioeconomiche, nonché di offrire loro un sostegno tecnico, attraverso la creazione di un network e un finanziamento di 100 milioni di dollari.
Tra le “100 città resilienti” c’è Roma che, selezionata dalla fondazione americana nel 2013, sta ora lavorando al proprio “piano per la resilienza” per adattarsi ai cambiamenti climatici. Avviato nel giugno del 2014 dall’amministrazione capitolina, il percorso vede conclusa la prima fase, partita lo scorso gennaio: una fase più organizzativa, di “ascolto” e di dialogo con gli stakeholder (soggetti istituzionali, comunità scientifica, associazioni di categoria e operatori economici, società civile organizzata….) in un vero percorso partecipato. Da qui sono emersi i nuclei di priorità su cui si incentrerà il lavoro dei prossimi mesi, secondo cinque aree tematiche: pianificazione e gestione urbana, accesso e gestione dati, resilienza comunitaria, tutela e accesso al territorio, ciclo delle acque e rischio idrogeologico.
L’altra “città resiliente” italiana del progetto Rockefeller è Milano, che ha individuato le sue specifiche aree di intervento sviluppandole intorno a due aspetti: «l’impatto della crisi economica e la contrazione delle risorse, riscontrabile nella forte carenza di abitazioni accessibili, sia dal punto di vista dell’housing sociale che dell’edilizia residenziale pubblica»; «la sostenibilità in termini di contenimento degli effetti dei cambiamenti climatici, in particolare sull’uso dell’energia durante le ondate di caldo e sul rischio idraulico».
È dello scorso aprile la presentazione della proposta del PAES da parte del Comune (redatto da Amat, Agenzia Mobilità Ambiente Territorio), che stima una riduzione delle emissioni complessive (rispetto al 2005) pari al 4%. Tra le principali aree di intervento, la riqualificazione energetica degli edifici, la promozione dell’efficienza energetica, l’illuminazione pubblica, le fonti rinnovabili, la mobilità e la gestione dei rifiuti.
A chiusura dei lavori di questa XVII assemblea nazionale, il Coordinamento Agende 21 locali italiane ha eletto, insieme al suo nuovo direttivo, il nuovo presidente: alla guida dell’associazione per il prossimo biennio sarà Maurizio Tira, assessore all’Urbanistica e mobilità del Comune di Desenzano del Garda, ingegnere ambientale e docente di Tecnica e pianificazione urbanistica all’Università di Brescia. «Gli assetti istituzionali cambiano (si pensi alla trasformazione delle province), ma i problemi restano o aumentano, e solo le reti possono contribuire a risolverli – dice convinto e continua: Per questo crediamo che, su un fronte così importante come quello dell’adattamento ai mutamenti del clima, sia fondamentale lavorare insieme.
Molte azioni locali si possono facilmente ispirare alle buone pratiche di altri enti, in una logica di benchmarking volontario. E serve sperimentare nuove aggregazioni di Comuni – conclude il neopresidente – e nuove forme volontarie e obbligatorie di piani di governo del territorio, che internalizzino le problematiche della sicurezza, della resilienza, della capacità di prefigurare uno sviluppo sostenibile del nostro Paese».