Un monologo che non è proprio un monologo, ma uno spettacolo per una voce sola e cinque personaggi. Beatrice Fazi, con la versatilità che la contraddistingue, si immedesima in cinque donne, cinque caratteri, cinque generazioni.
Il testo di Francesca Zanni, con un tono sempre in bilico tra il brillante e la commozione e uno sguardo fortemente ironico su chi siamo stati e chi diventeremo, ci racconta di come è cambiata la nostra vita: la coppia, il rapporto tra madri e figli, l’emancipazione femminile. Ma anche di come, nonostante tutti i progressi fatti, quando si parla di sentimenti, siamo sempre alle prime armi.
Dal 1887 al 2018, queste cinque donne ci portano per mano attraverso i grandi cambiamenti epocali, le abitudini e le superstizioni, le leggende e il folclore, viaggiando dal Sud Italia al Nuovo Mondo, attraversando grandi rivoluzioni, delusioni e speranze, passando dalla vita contadina a quella iperconnessa, avanzando verso un futuro che cambia e che le cambia.
E cambia anche la lingua che parlano, in un’evoluzione che attraversa generazioni e continenti: dal profondo Sud che usciva appena dal brigantaggio all’America degli emigranti e poi di Woodstock; dai primi movimenti di emancipazione della donna al vuoto di valori degli anni ’90 del novecento; dalla donna evoluta, indipendente e di successo che ha tre mariti e non ne indovina nessuno, fino alla ragazzina che ha già le idee chiare e quando rimane incinta decide di fare famiglia nonostante vada ancora al liceo.
La mamma meridionale, la ribelle femminista, la figlia dei fiori naif, la manager e l’adolescente nativa digitale: ognuna di queste donne ci fa conoscere un pezzo di storia, la sua personale ma anche quella del nostro Paese. Le loro conquiste le abbiamo vissute, le loro paure sono le nostre, la loro forza ci appartiene.
A fare da corollario al racconto, una scena fatta di proiezioni, attraverso cui lo scorrere del tempo sarà sempre tangibile, ricordandoci volti e fatti che fanno parte della memoria storica di tutti noi. Anche la colonna sonora attraversa tutto il secolo, dalla musica popolare di fine ‘800 al rap.
La scelta della scenografia è volutamente semplice a valorizzare testo e attrice. Unico elemento scenografico infatti è un baule, da cui escono abiti e oggetti che creano di volta in volta l’epoca in cui le cinque donne si muovono.
Queste cinque donne non si capiscono, ma in fondo si assomigliano. E scopriranno infine che il luogo da cui scappare diventa quello in cui tornare, perché le nostre radici sono importanti, anche quando vogliamo dimenticarle.
Queste cinque donne non si capiscono, ma in fondo si assomigliano. E scopriranno infine che il luogo da cui scappare diventa quello in cui tornare, perché le nostre radici sono importanti, anche quando vogliamo dimenticarle.