Era l’ultima mutanda. Un po’ sfatta, con l’elastico che arricciava la scritta Cagi, rendendo l’indumento cadente e inutile, specie in vista del weekend di caccia alle pollastrelle. Genziano era stato costretto a riesumare vari reperti archeologici risalenti alla sua adolescenza, dopo anni di oblio in fondo ai cassetti. Alcuni, di tre taglie in meno, lo facevano sembrare una salamella, altri vantavano fantasie e colori anni ‘80 che gli erano valsi una serie di risatine e battute sarcastiche in ufficio. Tutto per rimandare oltre ogni decenza l’attività che più detestava: fare la lavatrice.
Lo snervava in particolare separare i colori, provava un’ansia strisciante al pensiero che una calza rossa dimenticata potesse trasformare tutta la sua biancheria in un corredino da Barbie, cinquanta sfumature di rosa. Era successo al Bazzocchi, suo compagno delle elementari, che si era presentato alla cena dei coscritti con tutte le gradazioni di verde addosso. Quando il cane del Rossetti gli aveva pisciato addosso, scambiandolo per una pianta, quello sfigato era scoppiato in lacrime confessando le sue disavventure lavandaie di neo separato. Il Rossetti, invece di scusarsi, si era acceso in un monologo su temperature, programmi e detersivi ecologici che aveva fatto addormentare persino quell’orrendo mucchietto di pulci che non aveva smesso di abbaiare per tutta la sera. Genziano si riscosse.
Non poteva e non voleva diventare un patetico omuncolo come il Bazzocchi. Occhiali di ferraccio, postura uncinata, sguardo implorante e pochi capelli appassiti su una pelata lucida. Non aveva mai capito cosa ci avesse trovato quella stragnocca della Rosa. Doveva avere un talento nascosto, che certo non era quello di fare lavatrici. “Genz, fatti coraggio! Che cosa saranno mai quattro stracci per un macho come te?” Si guardò allo specchio ammiccando, ma la visione del mutandone slabbrato e della canottiera blu stinto con la scritta ‘Manzetti, la casa del tortellino dal 1927’ gli causò un moto di disgusto.
“Via ‘ste schifezze! Meglio nudi che mal abbigliati!” Lanciò canottiera e mutande nella lavatrice e iniziò a separare i panni da lavare: “Bianco qua, nero là, colorati a parte…” Ficcò il mucchio dei bianchi nel cestello e spinse con forza l’oblò che non voleva saperne di chiudersi e infine si accinse a riempire il cassetto dei detersivi. “Allora questo è per i bianchi, mettiamo anche l’ammorbidente alla… fresia? Ma che è ‘na fresia? L’avrà comprato quella mangiasoldi maledetta. Tutte le fregnacce delle pubblicità erano sue.” Versò mezzo flacone nella vaschetta, facendolo tracimare.
“Non pensarci, Genz, che ti si alza la pressione! È lontana seicento chilometri. E tu sei uno splendido stallone pronto per galoppare su nuove praterie.” Annuì compiaciuto Genziano. “Ora devi solo scegliere il programma. Direi novanta gradi, con asciugatura, in un paio d’ore sarai di nuovo in pista, Genz, ready per una serata di rimorchio in discoteca!” Stremato, agguantò una birra gelata e si stravaccò nudo sulla poltrona firmata, ultima follia della disgraziata, prima di scappare con un consulente d’arredo di Cinisello Balsamo. Si assopì cullato dal rumore della centrifuga, sognando l’ex moglie che implorava un perdono che le avrebbe negato. Il campanello irruppe crudele, strappandolo dal meritato pisolino.
Si alzò di scatto e, senza pensare, spalancò la porta d’ingresso. La vecchia Evelina, quaranta primavere per gamba e un metro e venti di sdegno, squadrò l’uomo, parecchio in sovrappeso e completamente nudo, che restava impalato di fronte a lei, con l’acqua fino alle caviglie. “Guagliò, il filtro! Devi pulire il filtro, hai allagato tutto il palazzo!” abbaiò la vecchia “E poi come mai hai tutti i panni azzurri? Non mi sarai mica diventato Laziale?” Genziano si piegò, chiappette all’aria davanti all’oblò, “Azzurri?”
Foto di copertina di joaquincorbalan da DepositPhotos per Cinque Colonne Magazine