La Scuola è un film del 1995 diretto da Daniele Luchetti con Silvio Orlando e Anna Galiena. A vederlo oggi l’impatto che la distanza da quall’epoca dà, in termini sia formali che di rappresentazione dell’Italia, è teneramente forte. Luchetti era al settimo lungometraggio, aveva esordito grazie al suo modello creativo e intellettuale Nanni Moretti (di cui fu precedentemente aiuto regista), che con la Sacher Film nel 1988 gli produceva Domani Accadrà. Il film vinse il David di Donatello e partecipò al Festival di Cannes. Ancora poi nel 1991 Il Portaborse, sempre con Silvio Orlando e Nanni Moretti, ottenne diversi riconoscimenti anche in ambito Europeo. Insomma una formazione da cinema d’autore che progressivamente negli anni percorre e sperimenta anche un sapore comico, quello però che si cela dietro l’amarezza dei mal costume e generale indulgenza Italiani. Luchetti approda alla forma cinematografica del racconto del film del ’95, dopo aver portato sul palcoscenico Sottobanco, piece teatrale della medesima storia, scritta da Angelo Starnone, un professore di un istituto tecnico della periferia romana che inoltre pubblicava talvolta articoli giornalistici sull’ambiente e il sistema scolastico.
La Scuola, a rivederlo oggi dicevamo, è sulle prime, didascalico sia rispetto a come ci racconta i passaggi di tempo tramite la macchina da presa, e come questa ci conduce ai significati, sia dal punto di vista dei contenuti per cui lo spettatore non scopre, piuttosto riconosce, quel già noto modo di fare di studenti e professori negli istituti di periferia italiani: lassisti, disinteressati, completamente allo sbaraglio i primi; rassegnati e altrettanto disinteressati i secondi; in una cornice di abbandono totale da parte delle istituzioni (quanti di voi non hanno studiato in edifici al limite dell’ inagibilità?). Questo il quadro, che per necessità narrative deve rispecchiare una serie di stereotipi di cui sopra, così che ogni ruolo svolga la sua funzione in modo lineare. Dunque c’è il prof. di italiano Vivaldi (Silvio Orlando) che in quanto umanista e ‘dunque’ idealista, ha un metodo di insegnamento prima di tutto centrato sulle relazioni, poco ortodosso nel rispetto delle regole delle procedure scolastiche come le interrogazioni, le votazioni e la disciplina. La prof. di matematica Maiella (Anna Galiena) è la donna affidabile e solida a cui tutti fanno riferimento, all’occorrenza anche dolce madre e amica. Ancora, il vicepreside severissimo ed esasperato (Fabrizio Bentivoglio), il prof. di francese (Roberto Nobile) che ‘paradossalmente’ manca completamente di bon ton e pazienza, e così via, in uno scenario di caricature. La storia si sviluppa nell’arco temporale dell’ultimo giorno di scuola: ultime interrogazioni e scrutini, si alternano ai flashback della gita a Verona mesi prima nei ricordi di Vivaldi che giunge alla scoperta di una consapevolezza sentimentale, barcamenandosi nella fatica di salvare dalla bocciatura alcuni studenti problematici, “da recuperare” a suo dire con metodi più indulgenti rispetto alle punizioni ufficiali. Questa però è solo poesia come afferma il pressappochista preside (Mario Prosperi), quella poesia che tuttavia fa in modo, che dopo vent’anni dal successo del film, appaiano ancora cult alcuni momenti. Le risposte ai questionari dalle domande mal poste; il disegno della scuola ideale senza aule ma con una stanza per fare l’amore; il primo della classe Astariti, che vuole approfondire durante l’estate il concetto della pax romana, ma sa anche essere divertente con il suo urlo della notte; uno su tutti però, la presenza solo percepita durante l’intero film, del famigerato alunno Cardini: attraverso i racconti dei personaggi veniamo a sapere della sua abitudine di imitare la mosca in classe, correndo/ronzando e disturbando la lezione, affezionandoci a lui solo per sentito dire scoprendo in fondo che non si trattava di mera indocilità.
“L’ultima cosa sul concetto di pace, a proposito dei romani: per i Romani la pace incominciava quando riuscivano a imporre il loro dominio su un altro popolo, nel linguaggio comune utilizzavano il termine pax anche per dire: “stai zitto tu! Basta, finiscila! Non mi scocciare!” ma la pace è un’altra cosa. Un pacifico non è un pacioccone. Per cui voi parlate, parlate sempre! Fate come fanno i Francescani che dicono: “pace e bene”, e quando vedete che il concetto di pace non si unisce a quello di bene, gridate! Perché certe volte la pace va gridata, certe volte la pace va urlata!” Prof. Vivaldi/Silvio Orlando