Il bombardamento mediatico di notizie e opinioni riguardanti una qualsiasi questione sociale-politica-economica le conferisce, si sa, sul piano della percezione, una certezza rafforzata della sua esistenza, un fondamento maggiore. Nelle ultime settimane la grande polemica che ha investito la città di Roma portando all’attenzione insistente di tutti il suo ‘famigerato’ degrado, ha da un lato, indignato definitivamente intellettuali e personaggi pubblici influenti (si vedano i vari Gassman, Proietti ecc.) dopo la diffusione in rete di un articolo del New York Times che descrive la capitale come una decadente e obsoleta metropoli che trabocca di disservizi (al centro delle polemiche maggiori ci sono i trasporti pubblici), immondizia e corruzione; dall’altro ha alimentato un atteggiamento da parte delle persone ‘normali’ di vera e propria rivolta non solo sui social network, ma anche sul campo, arrivando per esempio, anche a fenomeni di violenza da parte di cittadini nei confronti di alcuni macchinisti in seguito ai triplicati malfunzionamenti dei mezzi pubblici nell’ambito di una guerra fredda in atto tra impiegati e dirigenti dell’Atac (Agenzia per il trasporto pubblico del comune di Roma), cittadini che non avevano bisogno di leggere le valutazioni degli americani per superare certi limiti di esasperazione, è bastato giustamente il caldo record di 40° gradi all’ombra delle scorse settimane unito a ritardi programmati di autobus e metropolitane, e continui guasti.
Nel momento in cui varie vicende diventano eclatanti tramite i Media, la velocità da parte della classe dirigente, almeno apparentemente, nel provvedere a ‘trovare soluzioni’ aumenta esponenzialmente, quindi questo tipo di visibilità scandalistica può, coerentemente con la sua funzione ideale, servire da controllo sociale. Ma questi provvedimenti velocizzati dalla pressione esterna, rischiano di essere poi influenzati da interferenze di tipo politico, che distraggono dagli obiettivi principali di rimedi strutturali, e possono naufragare rimanendo invischiati in questioni di ritorni di immagine ed equilibri interni ai partiti, come anche la percezione aumentata di degrado da parte dei cittadini, in particolare delle fasce meno abbienti e più vulnerabili in cui attecchisce più facilmente l’equivoco relativo alle responsabilità, può portare a fenomeni di intolleranze e razzismi.
Come riconduciamo questa riflessione al cinema? Suggerendo ai lettori alcune pellicole cult a cui fa da sfondo una Roma contraddittoria da sempre, imperfetta da sempre, risultato costantemente in divenire di una Storia e di una tradizione che rappresentano spesso anche una zavorra, nel tragitto verso un’emancipazione civile ed etica, di cui i portatori ufficiali, i membri della nostra classe dirigente, negli ultimi decenni non hanno evidentemente mostrato un esempio possente.
La Terrazza di Ettore Scola ci racconta attraverso episodi che di volta in volta vedono protagonista uno dei personaggi, uno spaccato di vita di uno sceneggiatore, un produttore cinematografico, un membro del partito comunista, un giornalista e un dirigente Rai. Un cast stellare (Vittorio Gassman, Ugo Tognazzi, Jean-Louis Trintignant, Stefania Sandrelli, Milena Vukotic) in un’opera che è un pozzo di sottile e sofisticata ironia sulla borghesia italiana in piena crisi di valori per un’ incomprensione di fondo del cambiamento in atto alla fine degli anni Settanta.
Ne Il Tassinaro di e con Alberto Sordi, Pietro Marchetti carica nel suo taxi una serie di personaggi emblematici di una società grottescamente pittoresca aal’iniziodegli anni Ottanta.
In fine Romanzo Criminale (pellicola più recente del 2005) di Michele Placido ci racconta i fatti della banda della Magliana, l’organizzazione criminale che a partire dalla metà degli anni Settanta ramificò nella città di Roma e nel Lazio attraverso un giro di affari malavitosi che spaziavano dalle rapine alla droga entrando in contatto con mafia, camorra e quella parte di Stato corrotta.