La Cina è, attualmente il Paese con più prospettive di sviluppo al mondo; un vero colosso -sia in termini fisici che virtuali- che muovendosi può realmente fare da battistrada verso il resto del mondo. Certo, quella che fu la patria di Mao, oggi, è un Paese dalla leggibilità politica e sociale abbastanza diffcoltosa essendo un miscuglio stranissimo di vecchi retaggi medievali nelle zone rurali, diveterocomunismo maoista negli apparati burocratici statatali centrali e periferici e di rampantismo anarcoide da capitalismo d’assalto nelle città maggiori centri produttivi e veri baluardi del capitalismo post-industruale mioderno.
Dunque, la Cina, proprio il Paese che descrivevamo ha bloccato i social network e i servizi di informazione on-line che diffondevano materiale pornografico e osceno.
Dal mese di aprile, le aziende cinesi di Internet, come Tencent e Sina hanno bloccato 1,8 milioni di profili. L’ organismo addetto alla censura ha quindi bloccato i profili del servizio di messaggistica istantanea QQ, lo smartphone app WeChat e microblogging Weibo. Colpiti sono stati anche i servizi di chat di motori di ricerca come Alibaba e Baidu, e il provider di telefonia China Mobile.
Solo WeChat ha avuto lo scorso anno 272 milioni di utenti attivi, di cui oltre un terzo vive all’estero.I media di Stato sono a favore della campagna anti-pornografia, che aveva annunciato nel mese di aprile l’Ufficio per le Operazioni Speciali di Repressione del Porno online e del Materiale Osceno.
In realtà, molti utenti in Cina sostengono che in questa ‘azione moralizzatrice’ si nasconde una forma di censura che si cela adeguatamente dietro tali campagne. Inoltre, c’è da segnalare che tra i siti vietati ci sono quelli degli esuli tibetani critici della Cina e quelli delle principali organizzazioni umanitarie internazionali, tra cui Amnesty International che con la pornografia poco c’entrano.