“Te la senti di affrontare un mafioso?”. E’ questo lo slogan usato dalla catena internazionale Burger King per pubblicizzare il suo nuovo panino, “Mafioso”, chiamato così probabilmente per due nuovi ingredienti, il salame e la salsa a base di peperoni. La multinazionale ha posto un cartello nel pieno centro di San Paolo, in Brasile, con una domanda provocatoria per attirare i clienti. Ad aspettarli c’è una macchina stile mafia-anni 60 all’interno della quale si svolge il “lancio” del prodotto: un venditore sbuca dal sedile anteriore e offre il nuovo panino lanciato in Brasile. Un’idea pubblicitaria aggressiva, lanciata in una delle città più italiane in Brasile.
Non è la prima volta che il brand “mafia” entra a far parte del mondo gastronomico internazionale. Il deputato regionale Pd Fabrizio Ferrandelli, ex vicepresidente della Commissione D’inchiesta e vigilanza sul fenomeno della mafia in Sicilia, ad agosto 2013 scoprì un ristorante a Copenhagen dove venivano servite “la pizza mafioso” e quella “Al Capone”. Il politico, sul suo blog, dichiarò la sua indignazione: “Sono veramente sdegnato e dobbiamo sdegnarci tutti per i tanti che hanno combattuto e combattono la mafia. Il rispetto della memoria di chi ha sacrificato la vita in nome della legalità e della libertà e il rispetto di chi, in silenzio, pratica quotidianamente la legalità e si batte contro ogni forma di criminalità devono prevalere sempre su dibattiti sterili e sulle contrapposizioni che servono solo a dividere un fronte che dovrebbe stare unito per i della Sicilia e dei siciliani”.
A Vienna fece scandalo il pub “Don Panino”, a Seidengasse 31, che poteva “vantare” nel suo menù panini come “don Greco”, “don Buscetta”, “don Corleone”, “don Mori”, “don Falcone” (nella descrizione “il più grande rivale della mafia di Palermo” ma “grigliato come un salsicciotto”) e “don Peppino” (Impastato, ovviamente, definito “Siciliano dalla bocca larga cotto in una bomba come un pollo nel barbecue”). Il pub, attualmente chiuso (sembrava stesse cercando una nuova location), vendeva anche prodotti italiani e panini, consegnandoli a domicilio. L’idea di “Don Panino” fu lanciata da due italiani in terra austriaca, Marco e Julia Marchetta, desiderosi di offrire al pubblico “cibo cult”. “Entrambi avevano una fame enorme e nessuna voglia della cucina del luogo. Fast food o pizza non erano in questione. Dopo molte riflessioni si sono accordati su una ciabatta fresca e creata con amore e nei dettagli, un panino pieno di delizie tipiche del loro paese, che finora non si poteva comprare in questa combinazione e a questa qualità”, fu scritto sulla pagina Facebook dopo le prime polemiche. L’esperto pubblicitario a cui si erano affidati i due imprenditori dichiarò di non voler offendere nessuno: “Siamo gente onesta, tutto ciò che offende l’Italia non ci è gradito. Purtroppo non è colpa nostra se all’estero pensano che l’Italia sia solo mafia, pasta, pizza e Berlusconi”.
Anche in Polonia il fenomeno è diffusissimo. Ci sono locali chiamati “Corleone”, “Don Corleone”, “Mafia”, “Mafioso”, “Capone”, “Al Capone” e “Cosa Nostra” in città come Cracovia, Varsavia, e Pozna?. E’ venduta la “pizza Mafijne”, quella “Carleone” o “Don Carlo”, la “Sparare”, le “Penne con crimini”. A Buenos Aires, al ristorante “Arte de mafia” è possibile “gustare” il petto di pollo “dei picciotti”, le bruschette “alla Provenzano”, la salsa ‘La Camorra” e la “Picada de Vito Corleone”. Nei supermercati vengono anche venduti piatti di pasta con marchio “Soprano” o biscotti “Mafijne”.
Il caso che fece più rumore fu quello de “La Mafia” in Spagna: 34 locali (dai paesi Baschi fino in Gibilterra) e 400 dipendenti in varie città spagnole (il primo ristorante fu fondato a Saragozza nel 2000). Entro il 2015, inoltre, ne apriranno altri quindici (di cui uno in Portogallo). Il primo a denunciare l’esistenza di questa catena fu Mauro Fossati, studente della Statale di Milano che, nel 2012, presentò al professor Nando dalla Chiesa (scrittore, sociologo e politico, nonché figlio di Carlo Alberto dalla Chiesa, generale ucciso dalla mafia) una tesi sul “Caso dei ristoranti La Mafia in Spagna”, azienda che “permette” ai clienti di mangiare sotto i murales dei gangsters più famosi (Vito Cascio Ferro, Lucky Luciano, Al Capone e altri). “Associando la mafia alla cucina italiana, non si fa altro che associare l’Italia alla mafia. Il passaggio è molto breve, perché se è vero che siamo contraddistinti nel mondo per la buona cucina e la tipica dieta mediterranea, è altrettanto vero che siamo conosciuti nel mondo per la mafia. Dunque, unendo le due cose, questa catena di ristoranti ha preso e utilizzato due stereotipi del nostro Paese. Il problema sorge nell’accostare la cucina italiana, e quindi un vanto per l’Italia, alla mafia, e quindi quello che per noi è un valore negativo. Così facendo si alimenta lo stereotipo degli italiani mafiosi”, si può leggere sulla tesi di Fossati.
Il marchio “mafioso” nel mondo, è più presente che mai: “Mafia Restaurant” a Kiev, “Il Padrino” a Londra, “Sicilia, la Casa della Mafia” a Danzica (la cui pagina FB ha chiuso per numerose segnalazioni); “Cosa Nostra” a Quito, Pattaya (Thailandia), La Grande-Motte (Francia) e Wollongong (Australia); “Mafia Pub” a Bangalore e altri ristoranti in Egitto, Peru, Romania Ucraina (dove la cucina italiana “mafiosa” è accostata a quella giapponese). I “fan” greci della criminalità calabrese possono anche andare da “Ndrangheta”, a Ellinikò, per bere o mangiare qualcosina di “diversamente criminale” dalla mafia.
Il 20 marzo 2014, durante la presentazione della “Fondazione osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare” (il cui comitato scientifico è guidato dal procuratore Caselli), la Coldiretti diffuse dei dati che evidenziavano un aumento del brand “mafia” per le aziende che puntavano a vendere prodotti agroalimentari: le spezie “Palermo mafia shooting”, il caffè espresso “Mafiozzo”, le noccioline aromatizzate “Chilli Magia”, la salsa per le patatine “Maffia”, la “Sauce Maffioso” delle Fiandre, la pasta “Mafia” a Taiwan, il limoncello “Don Corleone” e, tra i tanti prodotti, anche la salsa piccante californiana “Wicked Cosa Nostra”. Il Presidente della Fondazione, Roberto Moncalvo, chiese “l’intervento delle Istituzioni nazionali e comunitarie per porre fine ad un oltraggio insopportabile. Siamo di fronte ad uno schiaffo all’immagine dell’Italia sui mercati globali”. Andrea Orlando, ministro della Giustizia, parlò anche di “capacità pervasiva” della Mafia “nel settore agroalimentare”. Anche la reazione del presidente e del direttore della Coldiretti Sicilia fu chiara e indignata: “Inneggiare o ricordare la mafia utilizzando vino, liquori, pasta e altro non contribuisce affatto all’economia siciliana. Bisogna dire basta a fenomeni di marketing che inneggiano al fenomeno mafioso e sfruttare invece quanto di meglio produce l’agricoltura siciliana. Ogni giorno furti di macchinari, abigeato, rapine, imposizione di pizzo, rendono lavorare in campagna sempre più pericoloso. Ogni agricoltore è un eroe visto che spesso lavora in zona abbandonate e dove, soprattutto a causa della crisi, il controllo del territorio non è adeguato”.