Quando nel luglio 2014 la sonda Esa inviò a Terra le prime immagini ravvicinate della sua cometa, la 67P/Churyumov-Gerasimenko, i ricercatori si aspettavano di vedere una palla di neve sporca dalla forma tondeggiamente. Quello che si presentò ai loro occhi fu invece un enigmatico corpo a due lobi battezzato duck shape, per noi italiani la ‘scamorza’. Da allora le ipotesi sull’origine di tale aspetto, tanto inusuale quanto enigmatico, si sono succedute numerose. La più accreditata fra queste suggerisce che la morfologia di oggetti come Chury sia frutto dell’unione di due corpi distinti.
Ma perché ciò avvenga devono verificarsi diverse condizioni: in primo luogo i due oggetti devono muoversi molto lentamente in modo che l’incontro sia abbastanza morbido da permettere ai due corpi di collidere senza esplodere. Inoltre, i due oggetti devono presentare una bassa densità ed essere ricchi di elementi volatili.
In ultimo, gli astronomi ritengono che questo tipo di incontri soft possa verificarsi solo nella fase iniziale di formazione di un sistema solare, nel nostro caso, oltre 4 miliardi di anni fa. C’è però una domanda a cui questa ricostruzione non sa dare risposta: come è possibile che oggetti così antichi, tanto fragili e piccoli, costantemente soggetti a collisioni nelle regioni in cui orbitano, siano riusciti a sopravvivere per così tanto tempo?
Un nuovo studio condotto da un team internazionale guidato da Patrick Michel, ricercatore presso il CNRS, propone uno scenario completamente diverso che scavalca l’incongruenza della ‘sopravvivenza impossibile’. Simulazioni numeriche in parte eseguite presso il Mésocentre Sigamm all’Observatoire de la Côte d’Azur, dimostrano che corpi come Chury possano essere il prodotto di uno scontro violento anziché di una morbida unione, nuovi oggetti nati in seguito all’aggregazione dei detriti generati dalla collisione.
Le simulazioni mostrano che, durante una collisione distruttiva, sui lati opposti del punto di impatto, i materiali ricchi di elementi volatili sono in grado di resistere alla collisione e vengono espulsi a velocità relative abbastanza basse da attrarsi l’un l’altro ed aggregarsi, formando molti piccoli corpi che a loro volta si raggruppano insieme per formarne uno solo. Sorprendentemente, questo processo richiede solo pochi giorni, o anche poche ore. In questo modo, la cometa formata mantiene la sua bassa densità e le sue abbondanti sostanze volatili, proprio come Chury.
Poiché questo tipo di collisione tra comete avviene regolarmente, 67P potrebbe essersi formata in qualsiasi punto della storia del sistema solare e non necessariamente agli inizi, come si pensava in precedenza, risolvendo così il problema della sua sopravvivenza a lungo termine.
Inoltre, dato che durante l’impatto non si verifica alcun compattamento o riscaldamento significativo, la composizione primordiale degli oggetti è quindi preservata e le nuove comete continuano ad essere oggetti primitivi. Quindi, anche se Chury si fosse formata di recente, l’analisi del suo materiale ci consentirà comunque di indagare sulle origini del sistema solare.
“Una delle eredità che la straordinaria missione Rosetta ci ha lasciato – spiega Mario Salatti, responsabile Asi per Rosetta – è uno studio approfondito, durato oltre 2 anni, di un oggetto molto speciale. Oggi sappiamo che molti corpi primordiali del nostro sistema solare hanno caratteristiche morfologiche simili a quelle della cometa 67P. I risultati delle simulazioni del CNRS – ha aggiunto Salatti – si inseriscono nel più ampio tentativo di ricostruire la storia dei corpi minori e la dinamica che li ha interessati sin dalla formazione del sistema solare e, per la suggestiva corrispondenza con molta della morfologia di Chury, tale studio risulta per la comunità scientifica di estremo interesse“.