“Chiamami col tuo nome” è un film diretto da Luca Guadagnino, tratto dall’omonimo romanzo di André Aciman, con Armie Hammer e Timothée Chalamet, è uscito nelle sale lo scorso gennaio dopo essere passato per vari festival del cinema ed aver fatto incetta di consensi di pubblico e di critica, ed è ora candidato a quattro premi Oscar.
Siamo andati a vedere i suoi 130 lunghissimi minuti, (Io sono l’amore ci aveva in qualche modo affascinati), e possiamo affermare d’esserci annoiati come non ci capitava, al cinema, da lungo tempo.
Nell’immediato ci è parso di assistere alla prima parte del film “Il giardino dei Finzi Contini” diretto da De Sica o forse a uno di Bertolocci e anche un po’ a “Morte a Venezia” di Visconti e naturalmente a “Camera Con Vista” di Ivory che di “Chiamami col tuo nome” ha curato la sceneggiatura.
La storia, ambientata nella campagna padana del 1983, racconta i primi turbamenti amorosi del 17enne Elio Perlman (Timothée Chalamet), sensibile adolescente americano, figlio di un autorevole professore universitario, (Michael Stuhlbar) che ogni estate ospita nella sua villa uno studente straniero specializzando in post dottorato. A giungere quell’estate nella grande villa Perlman è il bel 24enne Oliver (Armie Hammer) che dopo un’ iniziale antipatia susciterà l’interesse amoroso di Elio.
Il primo tempo è un lungo, piatto, prologo che ha la capacità di annullare nel cuore e nella memoria le bucoliche immagini del paesaggio e perfino le raffinate musiche che paiono volatilizzarsi rincorse dal tedio.
Tutto è prevedibile, stereotipato ad un ideale estetico e comportamentale caro, pare, all’idea americana dell’italico pittoresco radical chic un po’ datato.
Poco credibili i personaggi che risultano fasulli nelle loro dinamiche affettive e lavorative, dove ogni cosa pare un gioco svogliato o svuotato di significato.
C’è anche una signora Perlman, Amira Casar; la “sedotta e abbandonata”, di nobile cuore, Marzia alias Esther Garrel e Chiara, Victoire Du Bois, in cerca d’amore.
Il racconto dell’iniziazione all’amore omoerotico del giovane Elio non coinvolge né emoziona e più che una delicata lettura di sentimenti e attrazione fatale, risulta, a nostro avviso, manierato e anemico con una punta che rasenta il ridicolo nella scena di autoerotismo con pesca, rovinandoci, così, lo stretto rapporto col frutto estivo.
Prima della partenza di Oliver i due trascorrono una breve vacanza d’amore incoraggiata dal padre di Elio nel suo fastidioso, in quanto prevedibile, pistolotto open- mind fatto al figlio innamorato.
Poco convincente l’interpretazione degli attori che paiono essere lì per caso e di passaggio. Solo alla fine il film ci regala un momento di verità, con lo sguardo addolorato e perso nel fuoco del camino di un Elio alla sua prima, cocente delusione d’amore.
Oliver ha chiamato dagli stati uniti per gli auguri di Natale e per annunciare il suo prossimo matrimonio con la storica fidanzata. La famiglia, riunita nuovamente nella villa italiana per le feste, pare sollevata dalla notizia, tranne il protagonista.
Con Chiamami col tuo nome Guadagnino dichiara di aver voluto rendere omaggio ai suoi padri, quello vero e quelli cinematografici, Renoir, Rivette, Rohmer, Bertolucci, ma ci pare ben lontano dai loro risultati e dall’aver raggiunto un proprio riconoscibile stile.
Le musiche del film sono di Sufijan Stevens, la fotografia di Sayombhu Mukdeeprom, il montaggio di Walter Fasano, le scenografie di Samuel Deshors e i costumi di Giulia Piersanti.