Arte “degenerata” era l’appellativo utilizzato dai nazisti per etichettare le forme di arte che non corrispondevano ai canoni imposti dalle autorità del regime. Con questo stesso termine il collettivo di poeti romani Disaster Poets intende descrivere il suo progetto. Una “poesia degenerata urbana” proposta attraverso contenuti audio visivi e veicolata attraverso social network e serate nei locali della capitale. Le poesie del collettivo Disaster Poets vogliono contrapporsi ai canoni estetici della contemporaneità, che vedono, nei social e fuori, una ostentazione del benessere, reale o apparente che sia. A quell’estetica del mondo dell’immagine che pone in essere un masochismo edonistico in cui la visibilità è tutto e la sostanza è niente. E’ la trappola per chi, non avendo altri strumenti per farlo, considera i like e visualizzazioni come unico parametro qualitativo di un contenuto. Ma anche in contrapposizione al cosiddetto illuminismo poetico, che vede la poesia come panacea buonista che salva i deboli e combatte i forti, quella dei Disaster Poets è una poesia rappresentativa, utilizzata come strumento controverso al fine di raccontare le contraddizioni della società contemporanea, mai accomodanti e sempre suscettibili a più interpretazioni a volte opposte. Per questo la vita vissuta al limite dell’homeless può essere allo stesso tempo quella di un pazzo i cui squilibri psicologici impediscono di avere una vita normale, come quella di una persona che per questioni di natura pecuniaria finita in strada per necessità, emarginata dalla società “per bene” e costretta al vagabondaggio.
Lo scopo dei Disaster Poets è infatti quello di documentare attraverso la video-poesia le vite al limite della metropoli romana, attraverso una poetica tagliente ispirata agli espressionisti tedeschi del ‘900 Gottfried Benn e Georg Heym, come allo sperimentalismo d’avanguardia del poeta dei ’60 Cesare Ruffato.
“L’humus culturale dei Disaster Poets deriva anche da questioni introspettive in cui il vissuto interiore di disagio porta ad avere uno slancio emotivo di un certo carattere, noi lo realizziamo e esorcizziamo relazionandolo a un’esistenza terrena presente. Vivere in una metropoli è assimilabile a navigare in un mare di spazzatura neurologica che satura i neuroni cerebrali.”, afferma Carmine Roma, uno dei due membri del collettivo, musicista e autore della silloge “I cercatori del lago di Van”, edito da Altrove.
I Disaster Poets sono nati nel 2016 a seguito di un poetry slam svoltosi Tor Pignattara, quartiere della periferia di Roma. I poetry slam sono delle gare poetiche, dove i partecipanti si sfidano declamando i propri componimenti. “Il progetto è nato all’interno di un autobus notturno in corsa, con l’obiettivo di dare attuazione a certi vissuti, nonché per contrastare l’illuminismo poetico che vuole la poesia assoggettata ai soliti stereotipi”, dice Carmine. Mentre l’intellighenzia dei poetry slam spinge a definire la poesia in una dimensione progressiva, con la poesia degenerata dei Disaster Poets si intende porre in essere il concetto della regressione dei valori e dei principi a rappresentazione del caos, unica vera certezza nel marasma della quotidianità. “La nostra poesia – continua Carmine – è a volte, se vogliamo, decerebrata. Abbiamo lanciato delle micce, e pensiamo che possano essere innescate nel futuro”.