Sofferenza e bellezza quasi parenti. Bello e sofferto vengono associati generando un binomio che nelle menti si fissa come qualcosa di ineluttabile. La bellezza associata alla sofferenza sembra quasi giustificare ogni possibile sacrificio e, soffrire diviene quindi una regola implicita, del “a tutti i costi” o del “tutto per tutto” necessaria ed indiscutibile se davvero si vuole raggiungere … ma cosa? L’apparenzaaa?
Apparenza?????? dunque in palio ci sarebbe APPARIRE?
Stiamo davvero dunque parlando di
- Superficie
- Facciata
- Immagine
E la sostanza?
Nei mie tanti viaggi e confrontandomi con tutti i miei amici che oramai sono divenuti anche i vostri, ho scoperto che, questa regola implicita, ha prodotto nel tempo una forma di COSTRIZIONE indotta da chissà chi e chissà quando, indagheremo non temete ma, nel frattempo invece, metterò l’accento sui percé questo accade e la parola chiave che dovremo memorizzare e INTERFERENZA .
Prima di addentrarci nei meandri dell’interferenza, proviamo insieme a rispondere a queste domande.
Siamo davvero sicuri che per raggiungere la bellezza occorre:
- COMPARIRE
- COSTRINGERE A RINUNCIARE
- BELLO è UGUALE a SOFFERENZA
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Tito, il matitino curioso e birichino, che proviene dal mondo dei PUNTI INTERROGATIVI non è molto convinto di tutto questo. Lui non ama la parola soffrire.
Sostiene che “vibra” già in modo stridente e per questo non vuole apprenderla.
È stato proprio lui a farmi notare quello che sto per svelarvi… seguitemi
- Se “non soffrire” significasse NON FERIRE
- Se, dunque, sofferenza fosse il risultato di FERITE
- Se NON FERIRE significasse INDIFFERENZA ovvero non dividere, non separare
- Se ogni separazione generasse una costrizione
Se Tito avesse ragione, esisterebbe una indifferenza “sana”, un modo di TOCCARE ed ESSERE TOCCATI da fatti e persone SENZA FERIRE ovvero senza essere ogni volta scomposti (o scomporre) o subire delle separazioni (o separare).
Esiste, sostiene Tito, nel MONDO CHE NON C’E’ ANCORA© , un modo di occuparsi di sé stessi e degli altri, senza nuocere, senza privare, senza sfruttare ovvero senza privare dei frutti. Un modo per usare i propri talenti senza tentare di occupare il posto già occupato da altri.
Tutto questo, è possibile, seguendo fedelmente l’ascolto dei propri bisogni reali che non prevede mai, secondo lui, la sottrazione impropria di beni altrui.
Tito sostiene che si può ottenere questa modalità, inziando a non paragonare e a non paragonarsi, dunque nel NON PARAGONE.
È da qui che si inizia per poi trovarsi subito nel NON SUBIRE e solo così si attiva un circuito virtuoso di NON OFFESA.
Come voi anche io vorrei saperne di più ovvio.
Così lui, nella sua ingenua freschezza sostiene che, se anche questo mondo non si può cambiare, se ne può fare un altro, un mondo che non c’è ancora appunto, nel quale lo spazio è vuoto e può accogliere i talenti di tutti soprattutto delle nuove generazioni. Sostiene le sue motivazioni indicandomi che nel paragone è nascosto il germe infettivo del volere ciò che altri hanno e non ciò che davvero ci occorre. Paragonandosi agli altri si esce fuori da sé stessi, dal vero ascolto e si perde il contatto con i bisogni reali.
Ma in questa alterazione dell’ ASCOLTO si annida la sofferenza.
Secondo Tito dunque, la sofferenza non è altro che una costrizione e una seria di passaggi saltati che a loro volta danno come effetto una privazione giustificata dal fine. Un fine che appare necessaio ma che nel tempo diviene rivendicazione, conflitto e diffidenza. E su questa ultima parola invita a mettere attenzione.
Indagherò ancora su questo tema non temete, molto preme anche a me.
Per ora vi saluto invitandovi a scrivere per ogni chiarimento e perché no, anche per rammontarmi le vostre storie. Sarò lieta di custodirle e di farne tesoro.
Potete scrivermi alla mail info@cinquecolonne.it
Se volete seguirmi nella raccolta dei tanti viaggi che ho vissuto, potete trovarmi anche nelle FIABE DEL NON C’È ANCORA©
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