I rom a Napoli sono tanti, per alcuni “troppi”, forse gli incendi di Ponticelli non hanno fatto abbastanza nel 2008. La questione rom torna alla ribalta con la notizia di pochi giorni fa, di una donna rom a Piazza Vanvitelli che chiedeva l’elemosina, tra le braccia la figlia di un mese. Dopo l’intervento dei caschi bianchi la madre è stata denunciata per la condotta pregiudizievole nei confronti della minore e segnalata ai servizi sociali competenti.
Ancora una volta rom, bambini e povertà. Ma essere rom non è una scelta. Ci si nasce e chi lo fa si porta dietro un bagaglio storico fatto di persecuzioni e maltrattamenti che tutt’oggi persistono. Nell’immaginario comune i rom, che attenzione non sono rumeni ma bensì un’etnia presente in diverse zone europee e originaria dell’India, sono persone restie a lavorare, che piuttosto preferiscono rubare, chiedere elemosina, svolgere attività illecite o “rapire bambini”. Di contro il ventaglio di opzioni che lo stato mette a disposizione per migliorare lo status sociale di questo gruppo numeroso, tra 130.000 e 170.000, (ovvero circa lo 0,2% della popolazione italiana) è pressocchè nullo. Anzi quello a cui è stato dato seguito in Italia è la politica dello sgombero forzato. Ricordiamo infatti il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (DPCM) del 21 maggio 2008 con cui il Governo dichiarava addirittura lo “stato di emergenza” riferendosi all’insediamento delle “comunità nomadi” nelle regioni Campania, Lombardia e Lazio perché tali insediamenti “a causa della loro estrema precarietà”, avrebbero determinato “una situazione di grave allarme sociale, con possibili gravi ripercussioni in termini di ordine pubblico e sicurezza per le popolazioni locali”. Uno stato di emergenza esteso poi nel 2009 anche a Piemonte e Veneto.
Quello che da lì è derivato, sono solo fumo e macerie. Quelle dei roghi appiccati nei campi rom dalle masse al sud Italia come al nord. Poi ci si ravvede e il 16 novembre 2011il Consiglio di Stato, il più alto organo di giustizia amministrativa, dichiara illegittimo il decreto governativo del 2008 che non altro ha fatto se non contribuire alla loro segregazione, spingendoli ancora di più nella povertà.
Ed è a dicembre 2013 che arriva il primo strumento giuridico dell’UE per l’inclusione dei rom. Il Consiglio dell’Unione Europea ha infatti adottato all’ unanimità una raccomandazione che impegna i 28 Stati membri ad accelerare l’integrazione socioeconomica delle comunità rom, attraverso istruzione, occupazione, assistenza sanitaria e all’alloggio, colmando così il divario ancora esistente con il resto della popolazione.
Oggi sono tanti i rom che solo vorrebbero una casa e non dovrebbe essere poi così difficile ottenere il diritto ad avere un alloggio popolare, ma questo tuttavia viene reso dalla stessa burocrazia italiana un sogno per pochi, in cui i rom non sono contemplati in quanto impossibilitati a procurare certificati di sfratti che non hanno mai avuto. Lo stesso vale per il lavoro, difficile a trovarsi senza una residenza, tra discriminazione e precarietà diffusa. Secondo poi i dati del Ministero di Grazia e Giustizia solo il 37% dei rom viene preso in carico dai servizi sociali e inserito in programmi di rieducazione.
La caccia alle streghe non finisce mai. Soprattutto quando la disinformazione fa di tutta l’erba un fascio. Michelle è una rumena, e con i rom non ha nulla a che vedere. “Non voglio parlare male dei rom” dice. “Sono persone che vivono situazioni difficili e vengono discriminate. Spesso cercano lavoro, senza trovarlo”. Lei gestisce un ristorante messicano, e di tempi duri ne ha vissuti, come tutti, ancor di più quando devi lottare contro la discriminazione. E si perchè nell’immaginario collettivo i rom sono sempre ladri cattivi, e sono pure rumeni.