C’era una volta il Primo Maggio sembra, ormai, il vero e proprio incipit di una favola d’altri tempi. Sì, una favola di quelle con personaggi fantastici; con i buoni ed i cattivi ma, pur sempre, una favola che risulta buona solo per essere raccontata ai fanciulli, che però armati di smartphone e internet fanno molto presto a non credere più in nessuna favola.
Eppure la nostra carta costituzionale è quella che esordisce recitando:
L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
Costituzione Italiana art.1 comma 1
E’ lì a futura memoria, si diceva una volta ma è stata mai applicata veramente? Bisogna riconoscere che i Padri Costituendi, da quelli più di sinistra a quelli più liberali e moderati, compirono un vero miracolo giuridico concependo una Carta che era all’avanguardia nel riconoscimento di tutti quei diritti che durante le epoche precedenti erano stati conculcati. Facendolo in maniera lucida e senza remore.
C’era una volta il Primo Maggio ed ora non c’è più
Poi è successo che gli anni sono passati, le classi politiche si sono avvicendate – negli ultimi decenni, in verità, avvitandosi su se stesse fino quasi ad implodere – senza rendersi bene conto che la società muta ed il mercato del lavoro muta anche di più ma mai può mutare il diritto al lavoro epigono della dignità dell’uomo.
Cosa significa oggi celebrare il Primo Maggio? Ricordare, certo, perpetuare la memoria di chi ha lottato nei secoli per l’affermazione del diritto al lavoro ma anche perché lavoro non significasse più sfruttamento del padrone sul lavoratore. Ricordare Portella della Ginestra. Ricordare il ruolo della Politica (quella con l’iniziale maiuscola), il ruolo del sindacato.
Celebrare il Primo Maggio, però, deve anche essere guardarsi intorno e saper leggere le evoluzioni senza giudizi di valore. Guardare, fotografare ed interpretare il mercato del lavoro alla luce della Pandemia, delle crisi cicliche, della globalizzazione e non fossilizarsi nel voler applicare sempre e comunque formule sempre uguali a se stesse.
Siamo stati – in Italia – statalisti, keynesiani, liberisti e poi neo liberisti e neo keynesiani. Oggi abbiamo un Presidente del Consiglio che si è formato alla scuola di quel gigante dell’economia che fu il professore Federico Caffè e che è diventato l’uomo del “quantitative easing” che ha salvato economicamente l’Europa con politiche economiche mai nemmeno pensabili prima.
E ora?
Eppure, siamo in un momento in cui non solo paghiamo – con cassa integrazione e chiusura di alcuni siti produttivi (leggi Wirlpool n.d.r) – una situazione di crisi economica acuta ma non abbiamo un vero orizzonte che si pari davanti a noi. Navighiamo a vista e confidiamo nella spinta che potrà arrivare dal P.N.R.R che pare diventare la panacea per tutti i mali ma di cui nessuno, finora, ha capito in realtà in cosa consisterà.
Le linee d’intervento sì ci sono, sono scritte in centinaia di pagine appena passate in sede parlamentare, e non senza le rituali polemiche, ma cosa effettivamente si realizzerà ancora non è nemmeno nella più fervida immaginazione seppure di pochi eletti. Al solito, pare, si continui a procedere per tentativi da parte dell’eterogenea maggioranza di governo e per sterili slogan (anche usurati ormai) della cosiddetta opposizione monocratica.
Cosa chiedere oggi per il Primo Maggio? Coraggio, sì un atto di coraggio senza precedenti da parte di chi è chiamato a governare l’economia esprimendo la capacità di guardare al di là dell’orizzonte, mettendo in campo scelte chiare e quantificabili che possa far diventare quello che fu un motto ottocentesco, molto più filosofico che altro, realtà. Una massima che oggi diventa più attuale che mai alla luce della enorme povertà e sperequazione quotidiana:
“Ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni”
Karl Marx
Speriamo continui ad esserci il lavoro
Non stiamo abbracciando, o rinvangando se volete, sogni giovanili ma esplicitando un’esigenza. Non va cambiato il mercato del lavoro ma il concetto stesso di capitalismo che abbiamo ereditato da anni ed anni di neoliberismo sfrenato che ha abbattuto qualsiasi idea del lavoro come realizzazione dell’uomo, come ascensore sociale naturale e come fonte di benessere diffuso per propugnare, invece, l’idea del pesce grosso che deve mangiare quello piccolo senza alcuna logica vera che non fosse quella del profitto che, ovviamente, così si è sempre più concentrato nelle mani di sempre meno uomini.
Questa sperequazione oggi paghiamo amaramente sulla pelle di quanto hanno perso e stanno perdendo il lavoro e di giovani che lavoro non ne trovano o non ne cercano, addirittura, più. Non servono i rivendicazionismi scevri che nascono da nuovi lavori, come quello dei rider per intenderci, che vanno sicuramente regolamentati ma anche qui non applicando schemi fissi ma sapendo leggere la realtà.
Non servono gli scioperi giusti nelle richieste, ma inutilmente mediatici e stupidamente rivendicazionisti del tempo che fu, contro le multinazionali proprietarie di quei ‘marketplace’ che, vi piaccia o meno, sono non il futuro ma già il presente del nostro sistema economico.
Serve leggere bene il presente per capire il futuro senza steccati ideologici: non incitare al boicottaggio del commercio elettronico (anche perché sarà un lavoro da riformare ma oggi sfama tante famiglie che sarebbero le uniche a pagare quei romantici boicottaggi) quanto piuttosto il legislatore a normare la presenza dei colossi nella nostra economia ad applicare leggi e tasse, magari.
Questo ci auguriamo: che sia un Primo Maggio che guardi più in là del nostro naso e dia prospettive di lavoro a tutti.
Che non si dica più c’era una volta il Primo Maggio ma c’è!