Si è tenuta venerdì 10 settembre, all’interno della sezione “Venice Production Brigde” della 78° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, dedicata ai professionisti dell’industria cinematografica, l’anteprima del cortometraggio d’autore “Centoundici. Donne e uomini per un sogno grandioso”, ideato e promosso da Confindustria. La presentazione si è tenuta all’Hotel Excelsior del Lido di Venezia – storico protagonista del Festival del Cinema – alla presenza del Presidente di Confindustria Carlo Bonomi, del Presidente della Biennale di Venezia Roberto Cicutto, del Sindaco di Venezia Luigi Brugnaro, del regista Luca Lucini e di alcuni degli attori protagonisti come Cristiana Capotondi, Giorgio Colangeli, Adriano Occulto.
Il titolo “Centoundici” arriva “spontaneo” e piace subito a tutti. È un omaggio alle centoundici persone, che hanno lavorato alla realizzazione del film: regista, sceneggiatore, attori, assistenti di produzione, montatori, scenografo, costumisti, microfonisti, macchinisti, attrezzisti, operatori, elettricisti, sarte, truccatrici, parrucchieri… Artisti e professionisti in rappresentanza di tutte le maestranze impegnate, quotidianamente, dietro le quinte e indispensabili alla realizzazione di un film, di uno spettacolo, di un concerto, di un festival. Persone e famiglie travolte da quasi due anni di pandemia e per le quali il lavoro si è completamente fermato. Secondo l’Enpals, solo guardando la prima ondata Covid in primavera, circa 380mila addetti dello spettacolo e della cultura si sono trovati senza lavoro nel nostro Paese. Mentre le industrie culturali e creative hanno perso nel 2020 oltre il 30% del loro volume di affari (“Rebuilding Europe: the cultural and creative economy before and after COVID-19 – Ernst & Young”). A loro, Confindustria ha voluto dedicare la fine del cortometraggio con le
interviste e le immagini di backstage sulle note del brano “Vivere”, nella versione swing arrangiata da Andrea Guerra. Un auspicio di ritorno alla vita, che è lavoro, è passione, è incontro tra persone, è scambio di idee, è fare progetti. Da qui la scelta di Confindustria di essere presente, per la prima volta e su iniziativa del suo Presidente Carlo Bonomi, proprio alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.
Un palcoscenico unico al mondo per evidenziare il valore delle industrie culturali e creative del cinema, dell’audiovisivo, della musica, dello spettacolo, degli eventi, che sono cultura ma anche impresa. Fondamentali per la loro funzione sociale e per la loro portata economica e occupazionale. Secondo le stime del Centro Studi Confindustria su dati Istat, pre-pandemia l’industria dei contenuti nel 2018 ha creato, sia direttamente sia attraverso la domanda di beni e servizi attivata a monte delle filiere, un valore aggiunto di circa 35 miliardi
di euro (2,2% del PIL), e circa 690mila posti di lavoro (2,9% del totale nazionale). I dati riferiti alla sola industria dell’audiovisivo, musica e broadcasting sono rispettivamente 16 miliardi di euro (1,0% del PIL) e 214 mila occupati (0,8% del totale). Circa un terzo sia del valore aggiunto sia degli occupati generati dall’industria della cultura è impiegato in attività
direttamente collegate alla cultura, mentre i restanti due terzi appartengono a settori a monte della filiera (come i servizi di consulenza, quelli operativi, di trasporto, le produzioni manifatturiere, immobiliari, etc). La domanda di attività culturali genera un importante effetto moltiplicatore sull’economia italiana, proprio in virtù di questi forti legami di filiera. Per ogni
euro aggiuntivo speso per acquistare prodotti culturali in Italia si attiva un valore della produzione nel Paese di circa 1,9 euro. Questo perché quando cresce la domanda finale di prodotti culturali, a beneficiarne non è solo la produzione di contenuti culturali a cui la maggiore domanda è rivolta direttamente ma anche tutti quei settori che riforniscono le imprese culturali e senza le quali non esisterebbe il prodotto culturale.
Ma “Centoundici” sono anche gli anni di Confindustria. Anni di grandi trasformazioni, di creatività italiana, di umanità che hanno cambiato il volto dell’Italia da paese agricolo a industriale. Anni di grandi sogni nei quali le imprese sono state motore di rinascita e dove il contributo di migliaia di lavoratori, uomini e donne, è stato determinante per la ricostruzione del Paese. Come fu nel Secondo Dopoguerra, quando tutto era stato devastato e spazzato via ma non la speranza e la voglia di ricostruire un nuovo futuro di prosperità sociale ed economica. Per il Paese, per i figli, per tutti. È questo che racconta “Centoundici. Donne e uomini per un sogno grandioso” con il linguaggio “vivo” del cinema. Una scelta che è una riconferma da parte del Presidente Bonomi che si era già affidato alla narrazione cinematografica, sempre con la regia di Lucini, per riflettere sui grandi temi della contemporaneità in occasione delle sue ultime Assemblee annuali con i corti “Il coraggio del futuro” (Assemblea Confindustria, 2020) e “L’impresa di servire l’Italia” (Assemblea Assolombarda, 2019). Il cortometraggio, prodotto da Maremosso e realizzato in collaborazione con Adverteam e Next Group, presenta al pubblico uno spaccato di vita vera dei nostri giorni, alternati da “riavvolgimenti” riferiti al passato. Chiara (interpretata nel film dall’attrice Cristiana Capotondi) è una giovane professoressa di storia, insegna alle superiori ed è innamorata del suo lavoro. La pandemia ha significato per Chiara doversi confrontare con un modo completamente nuovo di fare il proprio lavoro: la didattica a distanza. Gli manca l’aula, il rapporto con i colleghi, il contatto con gli studenti perché – sottolinea nel film – “una persona insegna anche guardando i ragazzi negli occhi”. Chiara è il simbolo dell’umanità di questa pandemia. E rappresenta molto bene il tema delle donne con il riferimento a Teresa Mattei, la più giovane madre della Costituente, nelle sue battaglie per l’uguaglianza dei diritti e, in particolare, dei diritti delle donne. Alberto (Giorgio Colangeli) è un pacato signore di ragguardevole età. L’incontro con Chiara avviene in un centro vaccinale ospitato da una grande azienda. È un’azienda italiana che ha saputo resistere nel tempo, rinnovandosi. Sono cambiati i processi produttivi e le tecnologie sono 4.0. E oggi in azienda c’è perfino un museo.
Il dialogo tra Chiara e Alberto fa emergere assonanze e coincidenze: la capacità delle imprese di essere motore di ripartenza, oggi con la campagna vaccinale così come nel Dopoguerra, la loro vocazione a innovare, la capacità di fare quello c’è da fare “perché le cose si possono cambiare se si vuole e se si lavora tutti insieme”. Alberto l’ha imparato, da giovanissimo, in fabbrica. E così ricorda quel suo primo giorno di lavoro “bellissimo”, quando dalla campagna è arrivato in città, proprio in quella stessa azienda che oggi ospita il centro vaccinale. La guarda con l’orgoglio di chi ne ha fatto parte, riconoscendo l’utilità del progresso e scommettendo che guardando avanti, senza rimanere ancorati a metodi e processi appartenenti al passato, si può vincere. Era il 1955, l’ultimo anno di Luigi Einaudi Presidente della Repubblica
Italiana. Un flashback accompagna il pubblico indietro nel tempo: qui vediamo un giovane Alberto (interpretato da Adriano Occulto), intento a fare delle consegne in azienda e a un tratto fermarsi dietro alla porta del Direttore Rota (nel film, Alessio Boni). Il capoazienda è impegnato con due collaboratori. La discussione è animata. C’è un problema di materie prime. Il rame è fermo alla frontiera e la produzione non si può fermare. “Ma – tuona Rota nel film – neanche le bombe ci hanno mai fermato”. È un riferimento alla responsabilità, al coraggio, alla tenacia dell’imprenditore di “fare quello che c’è da fare” e di non fermarsi di fronte agli ostacoli, di guardare alla risoluzione dei problemi, di investire sulle nuove generazioni. In questo
contesto risuona nel film il discorso di Einaudi: “Se così non fosse, non si spiegherebbe come ci siano imprenditori che nella propria azienda prodigano tutte le loro energie e investono tutti i loro capitali per ritrarre spesso utili che potrebbero sicuramente e comodamente ottenere con altri impieghi”.
Così la memoria va a uno dei momenti più difficili della recente storia d’Italia, la seconda metà degli anni Quaranta, quando, di fronte a un paese distrutto dalla guerra, furono proprio gli attori sociali, la Confindustria e i sindacati a concordare un impegno comune: la ripresa delle attività e del lavoro. Va alle donne che, quando tutti gli uomini erano al fronte, hanno portato avanti le fabbriche negli uffici ma anche al tornio, alla catena di montaggio. Va al piano Marshall e all’analogia con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza oggi. E va a quello straordinario fermento di idee e alla voglia dilagante di cambiare per costruire insieme un futuro migliore, di sicurezza, di benessere e di pace.
Alberto è dunque il simbolo dell’Italia che ha risposto al disastro della guerra mondiale con il lavoro. Lavoro che è attaccamento all’azienda, che è l’emozione di entrare in fabbrica, che è il desiderio di far parte di un mondo nuovo. La speranza di un sogno grandioso per l futuro – quello dei giovani di ieri e della nostra generazione Covid – che ritroviamo nel volto entusiasta e trasognato di Adriano Occulto. Un’immagine iconica che diventa, per questo, la
locandina del film.
Il filo rosso tra il passato e il presente di Alberto permette di guardare oltre la pandemia con fiducia come si fa con un nuovo inizio che fa eco a quello che tutti noi stiamo vivendo. Perché le grandi crisi portano con sé anche grandi opportunità: è l’insegnamento della storia. Bisogna però farsi trovare pronti per restituire fiducia ai giovani e costruire un futuro migliore. “Non avere sogni grandiosi è l’unica cosa che ci può fermare”.