Le celle solari a perovskite (Psc) sono tra le tecnologie fotovoltaiche di prossima generazione più promettenti per produrre energia solare con altissima efficienza. Attualmente il limite principale è la bassa durata di vita in condizioni di continuo funzionamento. Un team composto da ricercatori degli istituti TEI e FORTH di Creta, Istituto di struttura della materia del Cnr (Cnr-Ism) e Istituto italiano di tecnologia (Iit), ha ottenuto risultati eccellenti nel migliorarne la durata a lungo termine e le prestazioni, riducendo allo stesso tempo il costo di produzione, grazie all’uso di un cristallo bidimensionale, il disolfuro di molibdeno. I ricercatori hanno realizzato celle solari a perovskite di grandi dimensioni con un ciclo di vita a lungo termine superiore: i dispositivi mantengono circa l’80% della loro efficienza iniziale dopo 568 ore di stress test, sotto continua illuminazione in condizioni ambientali, avvicinandosi così agli standard di stabilità industriale. La ricerca, pubblicata su Advanced Energy Materials, è svolta nell’ambito della iniziativa europea Graphene Flagship.
Le celle solari a perovskite sono costituite da diversi strati: nello strato interno fotoattivo di perovskite si generano coppie elettrone-lacuna in conseguenza dell’assorbimento di luce solare. Le lacune e gli elettroni devono essere poi trasferiti dalla perovskite agli strati di materiali di trasporto in maniera efficiente, per evitare la loro ricombinazione prima di giungere agli elettrodi. E’ qui che sono intervenuti i ricercatori utilizzando scaglie bidimensionali di pochi strati atomici di disolfuro di molibdeno (MoS2) come materiale attivo interposto tra lo strato di trasporto e quello dell’ assorbitore di perovskite.
L’approccio originale utilizzato dai ricercatori del laboratorio di Spettroscopia di raggi-X di Cnr-Ism si avvale di tecniche avanzate di caratterizzazione in situ per il controllo su scala nanometrica delle proprietà morfologico/strutturali e della stabilità dei materiali attivi costituenti i dispositivi. “La maggiore stabilità del dispositivo è dovuta al duplice ruolo benefico del MoS2“, spiega Barbara Paci del Cnr-Ism, “da un lato preserva l’interfaccia tra materiale fotoattivo e strato di trasporto e dall’altro rallenta l’invecchiamento strutturale della perovskite – fenomeni che invece si osservano in celle prive del cristallo bidimensionale. Il primo effetto trae vantaggio dalla capacità dell’ MoS2 di intrappolare tramite intercalazione una vasta serie di ioni e molecole, ostacolando nel caso delle celle solari a perovskite il processo di migrazione degli ioni di Indio dall’elettrodo trasparente verso gli strati interni. Il secondo risultato è ascrivibile alla funzione di barriera che svolge lo strato di MoS2 rispetto alla diffusione di molecole d’acqua dagli strati igroscopici presenti nella cella verso la perovskite, e che di fatto inibisce la degradazione strutturale della perovskite stessa“.
Questo lavoro dimostra, inoltre, il ruolo benefico dell’MoS2 anche nel processo di scalabilità delle PSC: realizzando celle di grandi dimensioni (0,5 cm2 ) con l’interstrato di disolfuro di molibdeno si ottiene un’efficienza di conversione di potenza pari a 13,17%, nettamente più alta di quella dei dispositivi standard (10,64%). Queste indagini aprono la strada a PSC ad alta efficienza, a grande area e ultrasottili con vite che si avvicinano agli standard industriali.
Nelle tecnologie a energia pulita, l’alta efficienza, il basso costo e la lunga durata di vita dei dispositivi sono fattori cruciali per raggiungere la commercializzazione e una ampia adozione. L’uso di perovskite nelle celle solari, promettente per l’alta fotoattività ed efficienza di conversione della luce, ha un forte limite: l’efficienza delle prestazioni degrada bruscamente durante il funzionamento, ed è attualmente il principale ostacolo alla commercializzazione delle tecnologie solari basate sulla perovskite. Questo studio mostra che tale limite potrebbe essere superato con una attenta integrazione di materiali bidimensionali nelle celle solari, ottimizzando le interfacce tra gli strati del dispositivo per produrre PSC estremamente efficienti e stabili.