Riprendono gli eventi in Italia dopo il lockdown. Il 19 maggio, a L’Aquila, è andato in scena il primo spettacolo con pubblico da quando l’Italia è entrata nella fase 2. Simone Cristicchi, con l’accompagnamento del violinista Alessandro Quarta, ha voluto fare un omaggio al Papa Celestino V, noto per il gran rifiuto, con il suo monologo Ho sognato Celestino. E lo ha fatto nella Basilica di Santa Maria di Collemaggio, un luogo caro al santo, nel giorno in cui ricorrono i 724 anni dalla morte.
Chi è stato Celestino V, il papa del gran rifiuto
L’elezione di papa Celestino V, nel 1294, fu salutata dai fedeli come un segno divino. Sembrava essersi avverata la profezia del noto teologo Gioacchino da Fiore secondo il quale era vicina una nuova età dello spirito e l’avvento di un “pastor angelicus”. In effetti, le umili origini del neo papa molisano, al secolo Pietro Angeleri detto Pietro da Morrone, e la sua vocazione per l’eremitaggio sembravano la giusta risposta alle lotte tra le famiglie nobili laziali che da ben due anni si contendevano il soglio di Pietro, vacante dopo la morte di Niccolò IV. Una delle prime azioni di Celestino V fu l’istituzione della Perdonanza: un rito di riconciliazione che sarà ripreso poi a partire dal 1300 con il Giubileo. La disposizione contenuta nella cosiddetta Bolla del perdono prevedeva l’indulgenza plenaria per coloro che si recassero alla Basilica di Santa Maria di Collemaggio, a L’Aquila, con animo pentito e dopo aver ricevuto il sacramento della Confessione.
In quanto capo di Stato fu molto vicino a Carlo II d’Angiò che aveva caldeggiato la sua elezione. Ratificò il trattato tra questi e Giacomo d’Aragona che stabiliva, dopo la morte di quest’ultimo, la restituzione della Sicilia agli angioini. Nominò il re angioino commissario del futuro conclave e stabilì la sede della Curia nel Castel Nuovo di Napoli.
L’abdicazione del papa
Decisamente proteso alla preghiera e alla meditazione, Celestino V era avulso dalle questioni amministrative della Chiesa e ancora di più da quei meccanismi che reggevano il potere temporale della Chiesa. La sua scarsa istruzione fece il resto e la Chiesa piombò in uno stato di gran confusione. Nella sua stanza, piccola e semplice allestita per i suoi momenti di preghiera, probabilmente iniziò a maturare l’idea di non essere adatto a ricoprire quel ruolo. Si confidò con il cardinale Benedetto Caetani che, al contrario, era esperto di diritto canonico e quattro mesi dopo la sua ordinazione, rinunciò al pontificato.
Pietro da Morrone si era così sottratto al controllo del re angioino ma era caduto nella “trappola” tesa dal suo consigliere: il cardinale Caetani. Quello stesso che dopo dieci giorni dopo divenne il suo successore: papa Bonifacio VIII. Quello stesso che, per evitare che diventasse un ostacolo per il suo “lavoro” lo fece imprigionare nella Rocca di Fumone, in Ciociaria, dove morì nel 1296.
Una nuova rinascita
Ci è voluto del tempo prima che la storia perdonasse Celestino V per il suo gesto. La sua codardia aveva infranto il sogno di una chiesa che fosse più spirituale e meno terrena. La sua ingenuità aveva portato a capo della Chiesa Bonifacio VIII, uno dei papi più discussi della storia. Un dettaglio, questo, che segnò la vita di Dante Alighieri il quale collocò Celestino V nell’antiferno della sua Divina Commedia, nel girone degli ignavi. Bisognerà aspettare Francesco Petrarca e, molti secoli dopo, Ignazio Silone, perché il suo gesto venga considerato un atto di purezza contro le meschine macchinazioni all’interno della Chiesa. Se il mito del “pastor angelicus” è ancora vivo, lo sono anche i valori della perdonanza: pace, solidarietà e riconciliazione. Valori di un’incredibile attualità dai quali ripartire per costruire, dopo una grande prova, una nuova “normalità”, una nuova realtà.