Nove anni dopo la Cassazione mette la parola fine al processo che nel 2006 rappresentò un vero e proprio terremoto per il calcio italiano. Durissima la sentenza della Cassazione sul processo conclusosi lo scorso 23 marzo: “Fu commesso sia il reato di associazione per delinquere sia la frode sportiva in favore della società di appartenenza e questo sconvolse il sistema calcio screditandolo in modo inimmaginabile”. Lo analizza nella sentenza n° 36350/15 di ben 139 pagine, pubblicata il 9 settembre dalla terza sezione penale della Cassazione. che lo scorso marzo dichiarò prescritto il reato di associazione a delinquere contestato ad alcuni imputati.
La frode in competizione sportiva rientra nei delitti di attentato a consumazione anticipata che consiste in atti diretti a ledere il bene protetto, che nella specie è costituito dalla lealtà e correttezza delle competizioni. E ciò perché la seconda parte del comma 2 dell’articolo 1 della legge 401/89 delinea un delitto di attentato a forma libera che non ammette il tentativo e viene costruito come reato di pericolo: la condotta si intende dunque realizzata con il compimento di atti che risultano idonei ad alterare la gara e diretti in modo univoco a tal fine. Ecco quindi che l’effettiva alterazione del risultato non conta: dunque il reato scatta anche se la combine poi non riesce o comunque non va in porto.
Il caso Calciopoli portò nel campionato di serie A alla revoca dello scudetto 2004-2005, non assegnazione dello scudetto 2005-2006. E proprio in tema di partite di campionato truccate gli “ermellini” puntualizzano che alterare il meccanismo delle regole per la designazione dei direttori di gara, con le cosiddette griglie arbitrali o i sorteggi truccati, è una condotta che di per sé integra la fattispecie delittuosa contemplata dalla seconda parte del comma 2 dell’articolo 1 della legge 401/89 laddove è finalizzata a designare un arbitro o un assistente “amico”, disponibile ad alterare l’andamento della gara. Il tutto però per i vertici della federazione sportiva, mentre per gli arbitri bisogna verificare se la loro conduzione ha alterato la competizione. Sono due, ricostruiscono gli “ermellini”, le condotte tipiche delineate dalla norma incriminatrice: una di tipo specifico rappresentata dall’offerta (o promessa) di denaro o altra utilità o vantaggio; l’altra, più generica, costituita dal compimento di altri atti fraudolenti, cioè la frode generica.
Quanto all’elemento psicologico del reato, l’indicazione di una finalità specifica come alterare il risultato della partita presente in entrambe le condotte vietate, consente di affermare la necessità del dolo specifico. Insomma: le griglie di arbitri “accomodanti” sono tutt’altro che irrilevanti penalmente.