Giustizia è fatta! La storia di Stefano Cucchi è conosciuta, ormai, da tutti e noi non vogliamo entrare nel merito perché tutto quello che è successo finalmente è passato in giudicato. Una grande vittoria della giustizia vera che dobbiamo solo all’azione costante ed instancabile di Ilaria, sorella di Stefano; ma quanta sofferenza e che prezzo ha quella sentenza pronunciata la settimana scorsa?
Lasciamo da parte, nemmeno consideriamo, la continua campagna di odio di cui Ilaria è stata oggetto da subito da parte dei soliti haters del web. Non possiamo, invece, e non vogliamo dimenticare che gran parte di quella politica che oggi plaude ieri e l’altro ieri imputava alla famiglia la responsabilità di quanto accaduto.
Ilaria Cucchi dopo la sentenza
“Sono sotto shock. Non credevo sarebbe mai arrivato questo giorno. Anni e anni della nostra vita sono stati distrutti, ma oggi ci siamo. E le persone che ne sono stati la causa, i responsabili, sono stati sono stati condannati”
Il caso Cucchi, piaccia o meno, forse non farà giurisprudenza ma un pezzetto di storia, non solo forense, italiana l’ha già fatta. La tenacia, certo, di Ilaria ma anche la “sensibilità” di chi ha saputo o voluto rimettere in gioco la questione quando sembrava ben bene seppellita va riconosciuta.
La vicenda non è mai stata controversa
Un dato connotativo della vicenda di Stefano e che, a dispetto di quanto si voleva far credere, non è mai stata controversa. Cucchi era stato ucciso nel momento in cui era stato tratto in custodia; c’era da stabilire solo come e quando oltre chi ma la questione parlava da sola.
Le foto del corpo dicevano tutto e sono macigni impresse nelle coscienze di tutti coloro che sono in grado di ragionare senza essere soggiogati da appartenenze reali o ideologiche. Eppure è stato detto di tutto e di più per assecondare quelle tesi che sono state sconfessate dalla sentenza. Una sentenza che non solo ha punito chi materialmente ha operato ma anche chi si è reso mandante e complice nel tempo.
La giustizia italiana va riformata a fondo
Giustizia è fatta, ma l’unica verità incontrovertibile è che tutto quello che va sotto il titolo di Giustizia in Italia va profondamente riformato. Va riformato il processo penale, la procedura penale che – dopo l’ultima riforma – ha creato una sperequazione fra accusa e difesa generando mostri ed aberrazioni giudiziarie da quarto mondo.
Vanno riformati i meccanismi che permettono all’accusa di fare tutto ciò che più gli aggrada senza alcun controllo reale. Di avere a disposizione mezzi praticamente illimitati e la possibilità di plasmare la realtà. Vanno recisi – checché ne dica l’OdG – i cordoni che legano procure a giornali o a singoli giornalisti. Evitare che questi diventino megafoni e non informatori.
Le catene di comando vanno verificate e rese intercambiabili nel tempo sia territorialmente che funzionalmente. Bisogna evitare ad ogni costo di creare enclave di potere in coloro che sono al servizio dello stato e ripristinare il rapporto di servizio ai cittadini.
Ritorniamo alla presunzione d’innocenza
Abbiamo abbandonato la presunzione d’innocenza fino a prova contraria sostituendola con quella di colpevolezza che, diciamocelo, fa molto più comodo. Rendere la vita un inferno a chi, solo anche lontanamente, finisce nelle maglie di questa giustizia è vergognoso. Soprattutto per un Paese che si professa democratico e civile.
La vicenda Cucchi ci rimette una sola incontrovertibile verità: lo Stato e il cittadino devono recuperare un rapporto sano. Quel rapporto che questa vicenda ci ha restituito in tutta la sua cruda stortura più letale. Ci siamo riempiti la bocca di paroloni come garantismo e giustizialismo ma in realtà si è trattato e sempre si tratterà solo di potere che si barrica dietro il potere per conservarsi e proliferare.
E’ lo Stato che deve trovare l’antidoto. Deve farlo presto, contro questa specie di malattia autoimmune dello stesso che, irreversibilmente, se non viene arginata porterà a morte certa del corpo malato.
Giustizia è fatta! Grazie Ilaria per la tua forza, la tua testardaggine ed il tuo esserci; sperando che dovunque serva la tua figura si moltiplichi sempre più.