Le oltre 150 opere ripercorrono un viaggio allegorico sui quattro piani della Cardi Gallery di Londra, questa eccezionale retrospettiva su impianto museale comprende disegni, dipinti, fotografie e piccole sculture, molte delle quali prodotte appositamente per la mostra.
Tirelli studia scenografia e tra gli anni ’80 e ’90 è membro della Nuova Scuola Romana. Il suo bagaglio culturale si compone anche della complessità visiva e della stratificazione storica delle sue città Roma e Spoleto. Luoghi che hanno profondamente segnato il suo vocabolario di ricordi personali e allegorici. Le sue opere sono popolate da un archivio visivo molto complesso, costruito con il passare del tempo fin dalla prima infanzia. Attraverso delle reti di associazioni e connotazioni esse riescono a attivare i regni mentali del ricordo culturale, della memoria collettiva e delle concezioni convenzionali di rappresentazione del valore.
“Per attivare echi negli spettatori, attraverso l’immersione in un’interazione di immagini, simboli, allegorie ed attraverso un gioco di rimandi e riflessioni”, come afferma lo stesso artista, egli incorpora strategie espositive mutuate dal tardo Rinascimento, come lo Studiolo – una stanza colma di oggetti interessanti, e intesa come luogo di contemplazione di un nobile – per costruire meravigliose installazioni immersive, abitate da griglie di disegni e sculture in bronzo, le quali funzionano come flussi di coscienza spaziali e visivi.
Nelle sue composizioni si ritrovano forme geometriche, elementi del mondo naturale, strumenti, macchinari artificiali, forme architettoniche e oggetti del mondo quotidiano, caratterizzate da una forte tensione tra illusione e realtà; tra luce e oscurità. Queste ultime sono generate dallo spazio stesso, in quanto sono state scritte con la luce; esse sono originarie dall’ombra e pertanto diventano visibili. Tirelli ha padroneggiato il segreto delle ombre e le sue opere incarnano perfettamente questo mistero impalpabile. Agli spettatori spesso viene in mente la descrizione di Tanizaki sulla bellezza di un’alcova giapponese: “[…] guardiamo nell’oscurità che si raccoglie dietro la trave trasversale, intorno al vaso dei fiori, sotto gli scaffali, anche se sappiamo perfettamente che è solo ombra, abbiamo come la sensazione che in questo piccolo angolo di atmosfera regni completamente il silenzio assoluto. […] il silenzio inquietante di questi luoghi oscuri. […] Dove risiede la chiave di questo mistero? È fondamentalmente la magia delle ombre. Se le ombre fossero bandite dagli angoli, l’alcova ritornerebbe in quell’istante a mero vuoto.”
I soggetti di Tirelli non sono oggetti in sé, ma la loro rappresentazione. Prendendo in considerazione l’allegoria della caverna in Platone, esse mettono in discussione la capacità umana di sperimentare e conoscere il mondo reale. Contenute dallo spazio circostante – uno spazio intenso quale potenziale universale delle connessioni tra gli oggetti, come descritto da Marleau Ponty – con il loro senso complessivo e la loro percepita profondità, queste cose-oggetti sono esistenziali. Esse costringono lo spettatore a mettere in discussione la percezione della realtà e allo stesso tempo gli consente di smascherare e liberare il potenziale simbolico dell’oggetto raffigurato. Come sosteneva Nietzsche: “la realtà non esiste, esiste solo l’interpretazione”.