(Adnkronos) – “Questo è stato un anno della svolta” per la sperimentazione sui vaccini anticancro, “ma non è una svolta iniziata adesso. I vaccini a Rna messaggero erano, prima ancora del Covid, nel radar della ricerca oncologica”. In “3-4 anni” si potrebbero raccogliere i primi frutti delle sperimentazioni in corso. “Diciamo che il futuro lo vedo positivamente. Come dico alla fine dei congressi, il bello deve ancora arrivare”.
Parola dell’oncologo Paolo Ascierto, direttore del Dipartimento Melanoma, Immunoterapia oncologica e Terapie innovative dell’Istituto nazionale tumori Irccs Fondazione Pascale di Napoli, che all’Adnkronos Salute racconta di questa svolta che la ricerca oncologica sta costruendo e che potrebbe concretizzarsi in un orizzonte temporale non troppo distante da oggi. Il 2023 è stato senz’altro segnato dai risultati di trial che hanno come protagonisti i vaccini anticancro a mRna. Il percorso era cominciato molto tempo fa.
E, ricorda Ascierto, “già nel 2017, per dare un’idea, io ne discutevo con esperti dell’azienda BioNTech che all’epoca stavano sperimentando un vaccino, tuttora in sperimentazione, sia per i tumori del polmone che nel melanoma. Poi è arrivato il Covid e sappiamo tutti la storia. Sappiamo che il vaccino a mRna si è dimostrato efficace” contro Sars-CoV-2 e quindi questa piattaforma “è stata sdoganata riguardo alla possibilità di indurre una risposta immunitaria importante”.
Dopodiché “sono arrivati i primi studi del vaccino di Moderna con pembrolizumab che hanno dimostrato come effettivamente questi vaccini possano dare un contributo maggiore rispetto all’immunoterapia classica, con quelli che vengono chiamati ‘checkpoint inhibitors’, gli anti PD-1”. E, prosegue l’oncologo, “in questo studio preliminare nel melanoma – che fa da apripista per tutti i tipi di tumore – si è visto come questa combinazione riduce di un ulteriore 44% il rischio di recidiva e addirittura del 66% il rischio di metastasi a distanza.
Sono dati molto importanti. Tant’è che siamo adesso nello studio di Fase 3, che è in corso. L’abbiamo aperto anche in Italia. A Napoli siamo stati i primi e adesso ci sono anche altri centri” in campo. “Abbiamo già iniziato a trattare pazienti. Ne sono stati avviati 4” al percorso, “e il vaccino lo faranno a breve, perché questo trattamento inizia con l’immunoterapia classica, il tempo necessario per preparare il vaccino, che poi si aggiunge. E’ un vaccino personalizzato perché si ottiene da un campione del tumore”. Funziona così: “Il campione” del tumore “viene mandato nel laboratorio e viene processato – illustra Ascierto – Lì vengono isolati i famosi neoantigeni, che sono proteine mutate tipiche del tumore che vengono riconosciute quindi come estranee dal nostro sistema immunitario.
Di tutti questi antigeni – ce ne sono centinaia, se non migliaia – un algoritmo che è nelle mani dell’azienda che poi produce il vaccino, in questo caso Moderna, seleziona i 34 più immunogenici, cioè capaci di dare una maggiore risposta immunitaria e dal Dna di questi antigeni viene poi costruito l’Rna messaggero. Questo mRna dei 34 neoantigeni diventa il vaccino che viene inoculato sottocute, come un classico vaccino”. E’ una cura, continua l’oncologo, “che viene fatta per un anno, sia il pembrolizumab che questo vaccino (di cui si fanno 9 somministrazioni).
E quindi è un vaccino personalizzato perché viene fatto sul campione del tumore del singolo individuo. Se questa strategia si dimostrerà utile e quindi confermerà quello che abbiamo visto nello studio precedente si apre una strada. Perché è chiaro che questo approccio può essere applicato al melanoma come a tutti gli altri tipi di tumore. Già ci sono sperimentazioni in corso sul polmone e quindi vedremo”. I risultati?
“L’amministratore delegato di Moderna ha detto che forse saranno disponibili nel 2025, in genere ci vogliono due o tre anni. L’orizzone 2030 è realistico, sono convinto di sì – riflette – Io direi aspettiamo 3-4 anni e si potranno raccogliere frutti, poi può essere che arrivino prima.
Tutto dipende dai dati, se saranno maturi”. Al momento ci sono “diverse linee di ricerca. In questo momento la strategia è una strategia nella modalità adiuvante cioè dopo l’intervento chirurgico, e ci sono degli studi anche nella malattia metastatica. C’è tutto un filone che può essere sviluppato, sempre in combinazione con i ‘checkpoint inhibitors’.
Come vedo il futuro? Per l melanoma già abbiamo fatto passi da gigante, riusciamo a curare il 50% dei pazienti in fase metastatica, dobbiamo aumentare questa quota. Stiamo andando nelle fasi più precoci, diciamo che il futuro lo vedo con ottimismo”, conclude.
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