Poco meno di una settimana fa, Putin, in uno dei suoi discorsi, è tornato ad accusare l’Europa per le sue misure contro la Russia. Stavolta non ha parlato di sanzioni economiche o di operazioni militari, bensì di questioni più strettamente culturali. Secondo Putin, infatti, l’Europa starebbe procedendo con un’operazione di cancel culture nei confronti della patria di Dostoevskij e Rachmaninov. Al di là delle strumentalizzazioni del leader russo, quanto ci fa bene allontanarci, anche se momentaneamente, da un patrimonio che in realtà è di tutti? Più in generale, quanto ci serve cancellare ciò che nel passato ci è così scomodo?
Rowling come Rachmaninov
Cosa hanno in comune Joanne Rowling e Sergej Vasil’evič Rachmaninov? Entrambi, secondo il leader russo, sarebbero oggetto di una campagna di isolamento per il solo motivo di essere portavoce di convinzioni non accettate o appartenente a un determinato popolo. Un accostamento ardito quello di Putin che, dopo l’appoggio militare all’Ucraina e le sanzioni economiche, accusa l’Europa di nutrire un diffuso sentimento anti russo. Giusto per dovere di cronaca, la creatrice di Henry Potter ha risposto, è il caso di dirlo, per le rime spostando l’attenzione sul massacro dei civili che sta accadendo per opera di Putin in Ucraina. Caso opposto quello di Jorit Agoch, lo street artist italo olandese che su una parete di un liceo napoletano ha dipinto il volto di Dostoevskij. Una creazione che Putin stesso a salutato come un gesto di speranza.
Critiques of Western cancel culture are possibly not best made by those currently slaughtering civilians for the crime of resistance, or who jail and poison their critics. #IStandWithUkraine https://t.co/aNItgc5aiW
— J.K. Rowling (@jk_rowling) March 25, 2022
Putin e la cancel culture
Certo che sentir parlare di cultura della cancellazione della memoria da un russo lascia attoniti. Lascia intendere che ci si è dimenticati di quella piccola parentesi sovietica durante la quale San Pietroburgo divenne Leningrado. Come sembra che si abbia dimenticato che per secoli gli ucraini non si son visti riconoscere la loro lingua e la loro cultura perché seppellite dalla lingua e dalla cultura russe. Non siamo qui a fare uno stupido gioco di ripicche, ci mancherebbe, quanto a riflettere su un fenomeno che forse ci sta sfuggendo di mano.
Via col vento
La disdetta del corso su Dostoevskij all’Università Bicocca di Milano è stato solo il momento più basso di un fenomeno che ha preso le mosse allontanando gradualmente dalla musica e dal teatro internazionali gli artisti russi. Azioni che, capiamo, volevano essere di protesta ma che inevitabilmente contribuiscono a creare un clima di odio di cui non abbiamo alcun bisogno. Abbiamo bisogno, invece, di costruire ponti e quale miglior architetto della cultura? Quale migliore insegnante della storia per far sì che certi errori non si ripetano più? Un giorno qualcuno disse “la bellezza salverà il mondo” ma era solo un idiota. O forse gli idioti siamo noi?