Uno degli universi alimentari più variegati è quello dei formaggi: oltre 2000 in tutto il mondo prodotti dall’unione di soli tre ingredienti – latte, caglio e sale – in cui a fare la differenza sono le razze animali, il sapere del casaro, i pascoli e il territorio di cui ogni singolo cacio è espressione. È proprio per questo che uno dei pezzi forti di Cheese – a Bra (Cn) dal 20 al 23 settembre – sono da sempre i Presìdi Slow Food, espressione tangibile di quel concetto di biodiversità concretizzato in 30 anni di storia dell’associazione della Chiocciola e che oggi conta 576 progetti in tutto il mondo.
Tra le bancarelle della Via dei Presìdi troviamo oltre 50 progetti di tutela Slow Food provenienti da 10 Paesi: immancabili sono il Boeren Leyden tradizionale dall’Olanda e l’ormai famosissimo Cheddar artigianale del Somerset dal Regno Unito, il Puzzone di Moena e il Caciocavallo podolico del Gargano. Dal palcoscenico internazionale debuttano a questa dodicesima edizione di Cheese due nuovi Presìdi Slow Food: il camembert dalla Francia e il bryndza 1787 dalla Slovacchia, entrambi a latte crudo. Conosciamoli meglio attraverso il lavoro dei produttori e della rete locale Slow Food.
Camembert: una delizia che arriva dalla Francia
Da tre generazioni Patrick Mercier e la sua famiglia lavorano nella loro fattoria vicino al villaggio di Champsecret in Normandia. Suo nonno la costruì con pietre locali durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale e la famiglia ha assistito a tutti gli enormi cambiamenti nel contesto rurale che hanno avuto luogo da allora.
Con l’industrializzazione dell’agricoltura, la campagna normanna perse un gran numero di capi bovini da latte di razza normande. Sebbene la ricetta del camembert sia addirittura più antica della razza, si ipotizza che la normande sia stata selezionata proprio per l’idoneità del suo latte ricco di grassi alla produzione di camembert.
«Mentre ci industrializzavamo perdevamo progressivamente tutte queste bellissime vacche, e anche la ricetta del camembert tradizionale. A quel tempo ero solo un contadino ordinario e vendevo il mio latte a casari industriali». Patrick si rese presto conto che «lavoravo molto per gli acquirenti del mio latte e per le persone da cui compravo le mie forniture, ma molto poco per me stesso».
Nel 1995 l’azienda agricola Mercier ha avviato un processo di apertura e trasparenza nel proprio lavoro. Patrick ha venduto le sue mucche holstein, mantenendo solo il bestiame normande e contemporaneamente ha smesso di alimentare gli animali con l’insilato e ha iniziato a coltivare erba di alta qualità sui terreni aziendali. Da allora la fattoria è divenuta al 100% biologica, proprio come all’epoca di suo nonno.
Bryndza: la tradizione casearia della Slovacchia
Le tradizioni casearie della Slovacchia risalgono a centinaia, se non a migliaia, di anni fa. Il piatto nazionale, il bryndzové halušk, ricorda gli gnocchi in salsa di formaggio. Per farlo si usava il bryndza, tradizionalmente prodotto con latte ovino nella regione dei Carpazi. Il termine bryndza deriva dalla parola usata in romeno per dire formaggio. Furono i coloni di questa regione a introdurre la pratica della caseificazione con latte ovino intorno al XIII secolo. Fino a quel momento, le pecore erano allevate esclusivamente per la carne e gli unici animali da latte erano le vacche. Ma è stato il formaggio di latte ovino a conquistare il cuore e il palato delle persone del posto, diventando un pilastro della cucina nazionale.
«Tradizionalmente, il bryndza era prodotto con latte crudo di razze ovine locali che pascolavano in montagna. Ora che il sistema alimentare industriale ha imposto le sue leggi, anche il formaggio ovino non è esente. Ciò che la maggior parte delle persone consuma non è davvero bryndza, ma un’imitazione» afferma Ladislav RaÄek, coordinatore del Presidio Slow Food del Bryndza 1787. «Il bryndza è una vera bomba pro-biotica. Contiene fino a 1000 volte più microrganismi utili dello yogurt: ci sono circa un miliardo di microrganismi benefici da più di venti specie diverse in un grammo di bryndza. Ciò è dovuto al trattamento termico minimo che subisce, utile a preservare le qualità pro-biotiche del formaggio. Lo usiamo in una zuppa tradizionale chiamata demikát, una semplice zuppa di patate a cui viene aggiunto il bryndza a fine cottura. Poi c’è la šmirkaš, na crema di formaggio crudo che contiene anche cipolla tritata e peperoncino, servita con pane e vino».