Calciomercato: bandiere, idoli e soldi. E’ cominciato il solito balletto dell’estate fra società cattive, tifosi che gioiscono o si abbattono per le operazioni e la stampa ?
Bella domanda, perché quello del calcio è un altro mondo dove il ruolo della stampa è almeno discutibile nel suo operato poco ‘cronachistico‘ e molto ‘gossipparo‘. Stampa e società, calciatori e stampa, stampa e procuratori, tifosi e stampa. Tanti rapporti che, a scandagliarli davvero a fondo, ci sarebbe da tirare giù immediatamente il prontuario del “come non si fa” e del “cosa non è etico fare“.
Non staremo qui ad entrare nello specifico delle trattative di calciomercato, delle voci di scambi e di questo o quel giocatore che va da una squadra all’altra. Non staremo a discettare su Dybala, Mertens, Lukaku, Origi, Koulibaly e gli altri millemila venti che spirano da nord a sud e da est a ovest nel mondo pallonaro nostrano, europeo e mondiale.
No, non abbiamo la puzza sotto il naso. Semplicemente, non siamo competenti a parlare di trattative, o presunte tali, artatamente messe in giro per profitto ora di uno ora degli altri. Vorremmo parlare, invece, proprio di quell’avverbio: artatamente, il cui significato palese è proprio astutamente, con l’inganno, artificiosamente.
C’erano una volta le bandiere, gli idoli
Chi ha qualche anno in più, all’anagrafe, come chi scrive ricorda diversi momenti del calcio moderno riassumibili nel calcio prima degli anni ’80 e il calcio dopo gli anni ’80, calciomercato compreso. Cosa cambia? Quale lo spartiacque? Semplice il passaggio delle società e del mondo del calcio da quel sentore di campanilistica disputa a industria vera e propria. Industria capitalistica spinta nel senso più estremo del concetto. L’assurgere del solo ed unico criterio del denaro, degli scambi, delle quotazioni in borsa.
Qualcuno ha detto ed argomentato come oggi il calcio in Italia sia la terza industria del Paese per fatturato e come, quindi, le uniche leggi cui deve sottostare sono solo quelle del mercato. Quelle leggi economiche pure che prevedono che o i conti sono quadrati oppure non c’è scampo nel cammino verso il baratro del fallimento.
E’ sempre così? Se il sistema fosse sano sarebbe ineccepibile. Purtroppo non è così e non solo in Italia: si è parlato di fair play finanziario ma – come sempre – fatta la legge trovato l’inganno e ognuno fa un po’ come gli pare.
I soldi, sempre e solo i soldi, sono quelli che contano
I tifosi sono quelli che più di tutti credono davvero di contare qualcosa; pensano di essere quelli che hanno potere economico di vita e di morte sulle società. Una visione, invero, molto romantica della realtà. Oggi il tifoso pesa sul sistema del calcio come il piccolo risparmiatore su quello finanziario delle banche: praticamente zero. È davvero comico vedere in tv, leggere soprattutto sui social, di rivolte più o meno plausibili perché il tale calciatore non ha firmato il prolungamento di contratto o il talaltro accetta di passare alla odiata squadra rivale per una manciata di milioni.
Molto meno ridere fanno i giornali. Tutta quella stampa fatta di testate specializzate, radio, Tv e di più o meno probabili siti, che letteralmente “ci campano”, banchettando quotidianamente su questo sistema calcio. Vuoi sfruttando il semplice ma bieco click-baiting, vuoi cavalcando o procurando a bella posta le isterie delle varie tifoserie in ossequio a procuratori o altri apparati e singoli figuri che popolano il mondo del calcio.
Scoop e tifosi
Il risultato è tutto il bailamme che ci ritroviamo ogni giorno sotto gli occhi con “scuppettoni” vari e verità da scienza infusa in Tg e trasmissioni ad hoc o attraverso il belare continuo e senza soluzione di continuità dei social ed il sentirsi offesi ora di una tifoseria ed un minuto dopo degli altri. Poco importa se parliamo di Juve o Milan o Inter o Roma o Napoli (mi scuso se non cito tutti) le bandiere non ci sono più da un pezzo, gli idoli li abbiamo tutti consumati in fretta ed il contatto fra calciatori, tifosi e società non è d’amore ma economico come giusto che sia epurando il tutto da inutili fronzoli come il legame con le città o la maglia.
Non è il cuore che conta ma quello che c’è sopra nella tasca interna della giacca, il portafogli, facciamocene una ragione finalmente. Che un calciatore vada via per sua scelta o per convenienza della società a chi importa? Non dovrebbe importare a nessuno, a rigor di logica essendo un fatto sul quale nessuno può agire tranne gl’ interessati. Interessa solo a certa stampa che campa sul teatrino ignobile della caciara delle tifoserie cavalcata fino all’estremo salvo pentirsi quando ci scappa il morto, ovviamente.