Ai margini della città
Cagliosa di Giuseppe Franza edito da Ortica editrice, è un viaggio nella periferia napoletana, raccontata dall’autore attraverso gli occhi del protagonista Giovanni.
Cagliosa è la fotografia di una periferia degradata, che nutre uomini stanchi, senza prospettive, che vivono secondo le regole dell’arte di arrangiarsi. Giovanni ha 25 anni e passa il tempo lavorando, rubando e giocando a pallone, sport praticato e basato su regole lontane dalla disciplina e dalla sana competizione.
Dalle pagine di Giuseppe Franza, emerge un giovane demotivato e insofferente a tutto ciò che lo circonda (casa, famiglia, quartiere, lavoro, amore e calcio). Giovanni sente la necessità di liberarsi dalla morsa della routine della vita di quartiere, ma non ha né la forza né il coraggio di provare a forzare quella morsa. Poi, appare una giornalista sportiva che diventa la sua ossessione e…
Giuseppe Franza, è uno scrittore emergente, nato nel 1981 a Napoli e laureato in filosofia. Ha lavorato come redattore ed editor per varie case editrici e vive a Roma.
Abbiamo avuto il piacere di scambiare qualche battuta con lui su Cagliosa e ne abbiamo approfittato per chiedergli alcune considerazioni sulla periferia napoletana e sulle sue aspirazioni in ambito letterario
“Cagliosa” di Giuseppe Franza
Parliamo del protagonista del suo libro, Giovanni, a cui tutto va “stretto”, città, famiglia e amore. Qual è il male che lo affligge?
Giovanni è afflitto dalla presenza di una coscienza, che tuttavia rifiuta come un peso sconosciuto, inopportuno e sempre sconveniente nel proprio esistere. Gli vanno stretti quei limiti che ha sempre frainteso come strutture fondamentali della vita, e ciò dipende dal fatto che la sua sensibilità cozza con la sua educazione tutta orientata alla sopravvivenza e con il sistema culturale in cui si trova immerso. In pratica, si sente lacerato e poi schiacciato fra antitetiche forze: da un lato, la volontà di emancipazione e, dall’altro, il bisogno di appartenere al solo mondo che conosce e rispetta, quello della strada.
La vita di Giovanni sembra virare quando si innamora. Cosa scopre realmente Giovanni quando incontra la giornalista sportiva?
Con l’innamoramento Giovanni scopre innanzitutto la bellezza, un bene che gli è sembrato da sempre precluso ma che riconosce per istinto come una promessa impossibile e ammaliante di felicità. Capisce di trovarsi di fronte a una ragazza un po’ troppo affascinante, intelligente e raffinata per le sue possibilità, e cioè a qualcosa che non può permettersi. Questo sentimento è per lui un trauma, ossia una meravigliosa sorpresa, una novità che lo spaventa e allo stesso tempo lo intriga come una speranza. Per la prima volta, quindi, viene tentato dall’idea di migliorarsi, di abbandonare la scurissima caverna nella quale si è abituato a sopravvivere per affrontare la luce, inseguire prospettive diverse da quelle che ha sempre creduto di dover affrontare. Forse per amore è costretto a muoversi; e lui si butta, ma quando incede dimostra tutte le difficoltà e la rigidità di chi è stato troppo a lungo fermo.
Da cornice alla sua storia c’è la periferia napoletana, degradata e senza prospettive. Negli ultimi anni, si stanno sviluppando diversi progetti di riscatto sociale. Lei è napoletano, pensa che bastino per stimolare i giovani ad immaginare un futuro diverso e a darsi nuove possibilità di riscatto personale, oppure è necessario altro? Molti giovani vivono con indifferenza queste lodevoli iniziative.
In un contesto come quello di Ponticelli, le aspirazioni e i tentativi di riscatto sociale assomigliano spesso ai miracoli, ovvero a eventi in un certo senso inspiegabili, accidentali, o a fortunate trasgressioni alla norma. Nelle realtà periferiche e disagiate quasi dovunque impera l’avversione alla cultura, alla vita sociale e civile e al rispetto delle regole istituzionali, perché questi concetti appaiono ai più deboli e agli esclusi come astrazioni, oppure vengono considerati come sintomi di debolezza, peggio ancora come menzogne, dietro le quali si celano comunque ipocrisie, interessi e soprusi. I giovani sembrano indifferenti solo perché non hanno fiducia in ciò che non li coinvolge nelle loro reali esigenze. I ragazzi andrebbero salvati assicurando loro un lavoro dignitoso e rispettabile, niente di più. Ma pare che ciò sia impossibile. Per questo in tanti si perdono, e si organizzano altrimenti. Molti giovani napoletani si mostrano cattivi, inclementi, refrattari e impermeabili alle buone iniziative o ai sostegni che piovono, di tanto in tanto, loro addosso, è vero. Ma la loro corazza è in realtà una crosta, una superficie che si è indurita naturalmente, sotto la quale con buona probabilità si può scoprire un’infezione o una ferita ancora aperta.
C’è un messaggio che lascia ai lettori con il tuo libro? C’è qualcosa che vuole comunicare con la storia di Giovanni?
Non ho voluto lasciare alcun messaggio, al di là della storia in sé. Il romanzo parla dei luoghi in cui sono cresciuto, delle regole e delle consuetudini cui la gente si uniforma per resistere. I personaggi ricalcano caratteri che ho realmente incontrato o vissuto, esasperati o addolciti per esigenze narrative. Se c’è del pietismo o del sensazionalismo nelle pagine di Cagliosa lo intendo come un errore o una caduta di tono. Nel romanzo scrivo della realtà che ho conosciuto e con la quale mi sono scontrato per anni, che non ha un solo significato da mettere in evidenza o un valore definito da poter giudicare moralmente. Si tratta di un contesto che ho odiato e poi perdonato, con un suo senso contraddittorio e molteplice e con una sua grande dignità. Per tanto tempo mi sono sentito inadeguato, come un individuo incapace di appartenere allo spirito del mio luogo di origine; poi ho provato a rivalutare il mio sforzo di indipendenza come un atto di resistenza. Oggi non so come valutare i miei vecchi pregiudizi. Non mi sento di condannare chi si adatta alla realtà, anche a quella più becera e crudele. E poi so che la mia indipendenza non è stata una scelta, perché a mio modo sono stato un privilegiato.
Parliamo di lei e del suo approccio alla scrittura. Quando ha iniziato a scrivere?
Scrivo per lavoro, sono un editor, e scrivere è da sempre la mia forma espressiva preferita. Ho pubblicato Cagliosa per non continuare a lavorarci su, dato che continuavo a tornarci e modificare alcuni passaggi col rischio di inguacchiare tutto.
Lei è uno scrittore emergente, cosa si aspetta dal suo romanzo, vorrebbe diventare uno scrittore famoso oppure “Cagliosa” è stata solo una piacevole esperienza?
L’esperienza è stata finora piacevole, specie nel confrontarmi con chi ha riso del romanzo o lo ha completamente frainteso come una cosa politica, un’autobiografia o un’ode al calcio. Non mi aspetto troppo da questa pubblicazione, perché capisco di aver scritto un romanzo poco commerciale per forma e contenuto, anche se incentrato su un tema molto popolare. Ho aspettato molto prima di dare in mano a un editore questo primo testo. In realtà mi ero promesso di non farlo mai. Poi, come al solito, ho tradito la promessa. Ora sto completando un romanzo storico, che magari non finirò perché già mi ha stufato.