Chi scrive – per motivi anagrafici – ha mille volte recensito libri, eppure, questa non è una recensione come le altre. No, non perché Angela Marino (l’autrice) è una collega, un’amica, ma perché la tematica Terra dei Fuochi era quasi totalmente alienata dal sottoscritto. Niente viltà, solo un pudore personale, quasi un’autocensura, a parlare di quello che non è solo un fatto di cronaca, ma un dolore collettivo difficile da raccontare senza farsi coinvolgere. E’ bastato leggere la prima pagina di ‘Re Fiamma’ e tutto è cambiato.
Basti dire solo che leggere i pensieri messi su carta da tanti bambini lascia uno strano sapore in bocca, cose scritte con una semplicità disarmante eppure macigni che dovrebbero pesare sulle coscienze di tutti in maniera indelebile.
Vediamo cosa ci ha raccontato l’autrice.
Un libro non nasce mai per caso e questo, ci sembra, meno che mai. Si può facilmente ipotizzare quali siano state le motivazioni che hanno fatto scrivere queste pagine, ma noi vorremmo che fosse proprio l’autrice a sintetizzarlo in pochi concetti chiave.
Da quando ho cominciato a trattare l’argomento Terra dei fuochi, ho sentito ogni giorno più forte il bisogno di fare di più. È un bisogno che non ho potuto ignorare e che, a un certo punto, ha preso il sopravvento. Non potevo non descrivere quello che vedevo, non potevo sottrarmi dal fermarlo sulla carta. Poi, un giorno, come ho raccontato nelle prime pagine di “C’era una volta il re fiamma”, ad un corteo di protesta contro l’avvelenamento ambientale, mi sono imbattuta in un bambino che teneva tra le mani il cartello con la scritta: “Muoio”. Era evidentemente fiero di prendere parte alla manifestazione collettiva, lo si capiva da come sorrideva e allo stesso tempo mostrava un cartello con un messaggio straziante e dolorosissimo. Quell’immagine tenera e dolorosa mi scosse e da allora, seppi qual era il punto di vista che volevo adottare.
Oggi si tende sempre a semplificare oltremodo e si usa molto parlare di libri di pancia da una parte e di testa dall’altra (divisione orrenda). A noi non sembra né l’uno né l’altro. Non è che questo è un libro di cuore?
“C’era una volta il re fiamma” è un libro che ho scritto “con” il cuore, rimanendo sempre rigorosamente aderente alla realtà, senza aggiungere alcuna enfasi al racconto. La componente umana della vicenda è la chiave interpretativa di questo libro. Una testimonianza del genere non poteva essere riportata se non con profonda empatia.
Ci sembra che la cosa del libro più importante non sia la storia o il plot narrativo, e neanche la forma e l’espressione linguistica ma le persone, i bambini, la gente della Terra dei Fuochi.
Non c’è un plot, soprattutto perché la gran parte del testo è occupata dai temi dei bambini che ho diviso seguendo le inclinazioni che intravedevo nelle loro parole. L’angoscia, dominante nella gran parte dei loro lavori; la consapevolezza del presente e di come gli adulti stanno affrontando il problema; la spinta verso il futuro e, soprattutto, la speranza che rappresenta un’altra faccia, istintiva, primordiale, della loro angoscia. Ho dedicato diverse pagine anche a rispondere a una domanda che è stata determinante nell’indagine che ho portato termine: che cos’è per un bambino la Terra dei fuochi? Le risposte che i piccoli hanno dato non smettono di sorprendermi ancora adesso.
Dove ha portato questo libro l’autrice, dove l’ha condotta? Cosa ha prodotto per lei che lo ha scritto e cosa vorrebbe che producesse in coloro che lo leggono?
ll primo valore di cui questo libro mi ha arricchito è l’esperienza di aver conosciuto alcuni protagonisti di questa storia: attivisti, mamme, medici. Entrando nelle scuole per condurre questo tipo di indagine, mi sembrava quasi di avere un punto di vista privilegiato sulla realtà, un’anteprima del futuro, un futuro di cui, a prescindere da ciò che farò, io sarò parte attraverso i bambini. Ho letto nei loro occhi il bisogno di avere risposte, di parlare di quello che stava succedendo, di essere ascoltati. In una delle mie visite nelle scuole, prima che lasciassi l’aula dopo aver parlato con i piccoli, un bambino mi salutò dicendo: “È stato bello”. So che i bambini ricorderanno, come potranno ricordare, tra venti o trent’anni, tutti quello che leggeranno questo libro, ed è questo il senso che intendevo dare a questo lavoro: lasciare un segno.
La freschezza dei bambini fa a cazzotti con una “storiaccia” come quella della Terra dei Fuochi, non è forse anche un po’ catartico questo scontro?
È un contrasto brutale quasi, un contrasto che vuole invitare a riflettere. La terra dei fuochi è una “faccenda da adulti” che i bambini conoscono fin troppo bene e dalle quale gli stessi adulti non possono proteggerli, possono solo accompagnarli nell’affrontarla. La brutalità di questo contrasto è la stessa della narrazione del libro, quella delle mie parole e quella delle parole dei bambini. Per alcuni la lettura è stata emotivamente insostenibile, schiacciante e non per artifici narrativi e linguistici, ma per la forza incredibile dell’autenticità delle testimonianze che riporta.
Un libro non cambia la realtà, purtroppo, ma cosa può fare un libro come questo che parla alle coscienze dei lettori alla loro capacità non di avvicinarsi ma di guardare la realtà raccontata attraverso gli occhi di chi racconta?
Questo libro è un testimonianza. Personalmente credo nel valore storico della testimonianza, della cronaca. Il mio intento non è quello di indignare o denunciare, ma quello di rappresentare una realtà che non può e non deve essere descritta solo dai rapporti e dai dossier.