Burnout: il 22% dei dipendenti in tutto il mondo soffre di stress da lavoro. A dirlo è unarecente sondaggio del McKinsey Health Institute. Carico di lavoro, responsabilità e rapporti interpersonali sarebbero alcune delle principali fonti di stress sul posto di lavoro. Accanto al burnout si sta facendo strada anche un’altra sindrome: il rust-out.
Burnout: cos’è lo stress da lavoro
Negli anni Settanta, il termine burnout indicava la difficoltà nel gestire lo stress lavorativo nelle professioni mediche e più in generale in quelle d’aiuto. In un secondo momento, il suo significato è stato ampliato a tutte le professioni. Burnout, oggi, indica una situazione di mancato adattamento allo stress lavorativo. Si manifesta con sintomi sia fisici che psichici.
Chi è affetto da burnout può soffrire di cefalee ed emicranie, disturbi dermatologici o gastrointestinali. A livello psichico può sperimentare, tra l’altro, attacchi d’ansia, depressione e calo della motivazione.
Per guarire dalla sindrome si può agire a livello individuale o collettivo con l’aiuto di uno psicologo. Nel primo caso il lavoratore segue un percorso che lo aiuta a mettere la giusta distanza tra sé e il lavoro. Nel secondo, un professionista può aiutare a creare un ambiente di lavoro più funzionale e accogliente per tutti.
Rust-out: cos’è e come si manifesta
Se il termine burnout lo conosciamo, dunque, da circa cinquant’anni, un termine nuovo si sta facendo strada negli ultimi tempi sempre in ambito lavorativo: il rust-out.
To rust out, in italiano, significa arrugginire. Allo stesso modo la sindrome del rust-out porta il lavoratore a sentirsi, appunto, come arrugginito, in difficoltà nell’affrontare il lavoro affidato. Il termine indica, infatti, una condizione che porta il lavoratore a perdere la motivazione per il lavoro. A differenza del burnout, il rust-out non è una sindrome riconosciuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, si manifesta come un calo di energie.
La sua origine va cercata nella risposta a una routine lavorativa che mantiene il lavoratore sempre sullo stesso livello, senza alcuna opportunità di crescita. Mansioni sempre uguali mantengono il lavoratore in una continua zona di comfort che, a lungo andare, lo demotiva. Sul lungo periodo, il rust-out può trasformarsi in burnout. La soluzione? Avere dei compiti leggermente più sfidanti dei precedenti, alzare l’asticella in modo graduale e costante.
Lavoratori di tutto il mondo affetti da burnout
Anche se in percentuali diverse da Paese a Paese, la sindrome del burnout fa sentire la sua presenza a livello globale. Il sondaggio del McKinsey Health Institute, condotto su 30.000 dipendenti in 30 Paesi, rivela che il 22% dei lavoratori in tutto il mondo soffre di burnout. Le percentuali più alte si registrano in India (59%), le più basse in Camerun (9%). L’Italia si posiziona nella parte bassa della classifica con il 16% dei sintomi dichiarati.
Le cause principali dell’insorgenza della sindrome sono nei rapporti interpersonali, la pressione provocata dalle tempistiche e dal carico di lavoro, la mancanza di chiarezza sui compiti.
A soffrirne di più sono i lavoratori più giovani e i dipendenti delle piccole aziende. Il 50% dei lavoratori appartenenti alla generazione Z e ai Millennials si è detto stressato per la maggior parte del tempo che trascorre al lavoro e sarebbe pronto a rassegnare le dimissioni se si trovasse in un ambiente di lavoro tossico.
Dal sondaggio emerge che un ambiente lavorativo positivo comporta non solo una maggiore produttività e migliori performance degli impiegati ma anche aggiunge valore economico all’intera società. Un altro sondaggio, condotto sempre dal McKinsey Health Institute insieme a Business in the Community, rivela che, nel Regno Unito, il miglioramento del benessere dei dipendenti oscillerebbe tra i 130 e i 170 miliardi di sterline l’anno pari a un range che va dal 6 al 17% del Pil. Un valore che si traduce in una somma che va dalle 4.000 ai 12.000 sterline per ogni dipendente.
In copertina foto di Peggy und Marco Lachmann-Anke da Pixabay