Immaginate di essere catapultati per otto giorni in una sorta di mondo parallelo popolato da strani individui e strabordante di opere surreali e musica di ogni tipo. Un film di fantascienza appena uscito nelle sale cinematografiche? No, è BURNING MAN, un festival che si svolge ogni anno nella sabkha (distesa salata) del Deserto Black Rock nel Nevada. Inauguratosi nel 1991 e diventato oggi a pieno titolo uno degli eventi preferiti della “elite tecnologica” della Silicon Valley, è attualmente in corso e terminerà il 1 settembre, a conclusione della festa americana del Labor Day.
Rock City, abitata da 60mila persone, viene creata apposta per l’occasione e l’ottavo giorno viene bruciata insieme al suo fantoccio simbolo, noto appunto come Burning Man. Lo scopo principale è quello di celebrare l’arte e la libertà sociale, e l’immensa distesa desertica sembra sottolineare quello che è l’intento originario degli organizzatori ovvero “generare una società che stimoli la creatività dell’individuo e lo spinga alla partecipazione nella comunità civica“. Estendere poi la cultura che sottende al Burning Man ad un mondo più ampio, fornendo strumenti infrastrutturali che permetteranno alle persone di applicare i dieci principi in molte comunità.
Se venti anni fa al festival partecipavano solo persone comuni e le installazioni artistiche erano poco pubblicizzate, oggi la situazione è un po’ diversa: basta pensare a Mark Zuckerberg che ci è atterrato in elicottero. Ma il noto creatore di Facebook così come gli altri vip non condividono gli spazi di tutti i comuni mortali bensì soggiornano in una zona “premium” dove ogni esigenza viene puntualmente soddisfatta (il New York Times parla di veri e propri servitori, i cosiddetti Sherpa). E così ci sono chef esclusivi che cucinano piatti di alta gastronomia, camere lussuose dotate di tavoli da biliardo e wi-fi (nel deserto!) e modelle che allietano gli ospiti con la loro presenza: il tutto alla modica cifra di 25mila dollari per l’intera settimana.
Ma torniamo alla vera essenza del Festival e a questo villaggio temporaneo basato sulla convivenza e la partecipazione. I vari artisti presentano liberamente le personali performance, workshop e mostre d’arte. Con ben duecento opere esibite, si propongono di provocare, coinvolgere, lasciare attoniti. Le condizioni climatiche non proprio agevoli, comprese eventuali tempeste di sabbia, non ostacolano i partecipanti. Durante questo festival, tutto è permesso, o quasi. Ci sono infatti alcune regole da rispettare tra cui:
– bisogna dotarsi di attrezzatura da campeggio e di tutto l’occorrente per vivere una settimana nel deserto;
– fatta eccezione per ghiaccio e caffè, non si può comprare nè vendere niente;
– ogni partecipante, quando va via, deve lasciare l’area che ha occupato pulita dai rifiuti che ha prodotto, in osservanza al “Leave no trace”.
Il Burning Man termina con un rito: tutte le esposizioni artistiche vengono bruciate e di tutto non rimane traccia alcuna, se non le tantissime foto che vengono inevitabilmente scattate durante il corso dell’evento, come quelle ad opera dei fotografi Scott London e Sidney Erthal, immagini convogliate nel libro “Burning Man: Art on Fire”.