Buenos Aires è una città ambigua, gentile e selvaggia, delusa e tentata dalla speranza, una città di lussi e di miserie, colta, elegante e insieme ferita, ironica e tragica. Una città cosmopolita, i cui abitanti hanno sangue italiano, tanto sangue italiano nelle vene e sangue spagnolo, indio, tedesco, polacco, russo; è un crocevia del mondo, un’ex colonia spagnola che ha inventato, dentro la lingua dei colonizzatori, il lunfardo (il dialetto della città) dei suoi tanghi, la magica scrittura rioplatense di Julio Cortazar, di Jorge Luis Borges, di Ernesto Sabato, di Osvaldo Soriano, di Adolfo Bioy Casares, di Silvina Ocampo, di Juan Gelman e di tanti altri.
Un’energia istancabile percorre la città, sempre e comunque in ogni momento della sua storia, perché come dicono i suoi abitanti “Buenos Aires nunca duerme” (Buenos Aires non dorme mai).
E stranamente questa città modernissima, centro importante di flussi economici e culturali, si identifica con elementi tradizionali come una danza (tango) e una bevanda popolare (mate).
Il tango è l’insondabile mistero di una musica che dal porto della città ha invaso e conquistato il mondo. Sentirlo, ballarlo, che sia la musica tradizionale di Gardel o quella moderna di Piazzolla, è come sentire la città che respira, sedersi al vecchio caffé Tortoni, luogo di incontro dei suoi intellettuali, passeggiare a ridosso del ponte di ferro de La Boca via via fino a Caminito, , muoversi a La Recoleta tra il cimitero, la chiesa, i giganteschi alberi della piazza, il mercato degli artigiani, entrare in un conventillo restaurato, scivolare in barca tra i meandri del delta del Tigre nel silenzio di un tramonto.
A Buenos Aires si beve il mate, una specie di tè fortemente energetico, un marchio di appartenenza, la bevanda degli incontri, del riposo, della convivialità, goduta nell’intimità di una casa, nella frescura di un patio, nella solarità profumata e verde di un giardino.
Essere italiano a Buenos Aires è come sentirsi a casa, ma in una casa passata attraverso piccoli slittamenti di senso che te la rendono familiare e insieme sconosciuta.
La città conserva memoria forte dell’emigrazione italiana dall’Ottocento fino agli anni ‘50. L’Italia sta scritta nel tessuto di questa città, nei suoi palazzi, nelle sue chiese, nelle sue piazze, nelle sue case, nella sua tradizione e nella sua musica.
Buenos Aires ha accolto tra le sue braccia gli esuli europei scappati dalla fame e dalle guerre, li ha confortati sulle rive di questo grande fiume, il Rio de La Plata, che sembra mare, li ha fatti incontrare, incrociare, cambiare. Ora sono tutti porteños (abitanti di Buenos Aires), un popolo audace, orgoglioso di sé, fantasioso e ironico, capace di sopravvivere a dittature, governi ladri, svendita del patrimonio nazionale a multinazionali estere, alla violenza che insanguina spesso le strade.
Sconfitta da poco nelle ultime elezioni l’epoca kischnerista, populista e popolare, ora si vive nell’era neoliberale di Macri, con la stessa caustica ironia e lo stesso bisogno di affermare la propria identità al di sopra e al di là della politica inadeguata e spesso corrotta della sua classe dirigente.
Buenos Aires è una città raffinata e colta che pure vive di potenti contraddizioni. A un passo dal suo splendido monumentale centro, dove la case Art Nouveau, i tetti di ardesia nera, i lussuosi portoni liberty, i teatri, i negozi eleganti e internazionali ricordano Parigi, troviamo un’ enorme “villa”, una baraccopoli di disperati, come tante altre nelle periferie, che si mostrano come ferite aperte nel tessuto sociale di questa città.
Nel suo centro si snoda per chilometri l’Avenida Corrientes, una strada di librerie e teatri che farebbe impazzire lettori e appassionati di teatro di tutto il mondo. Le librerie di Buenos Aires sono luoghi mitici, come l’Atheneo, dove si legge, si conversa, si ascolta musica, si beve e si mangia. I porteños vanno al Teatro Colón, il grande tempio della lirica e della danza, come si va in un luogo familiare e irrinunciabile.
La città canta, in ogni manifestazione della sua inopprimibile energia, il coraggio di resistere, la determinazione a costruirsi il domani. È la forza, tra le rughe e gli anni, delle Madri di Plaza de Mayo che la nascondono sotto i loro fazzoletti bianchi, nella bellezza di una lotta che l’amore sostiene. Buenos Aires coltiva la memoria, si riconosce negli articoli del Clarín, de La Nación, de Pagina 12, i suoi quotidiani più importanti, nel passato trionfante o tragico, nel presente che va facendosi.
Qui si vive molto in spazi aperti: i boschi del quartiere di Palermo in piena città, le grandi piazze, le strade come autostrade dove il traffico scorre quasi sempre ordinato e veloce e gli autobus li aspetti solo qualche minuto, mettendoti in fila. La sua 9 (Nueve) de julio, la strada più larga del mondo, con l’obelisco simbolo della città, ne segna l’incrocio nevralgico in pieno centro, dove si viene a manifestare il proprio dissenso o la propria allegria, si fanno i caroselli quando finisce una dittatura o si cacciano i cattivi governanti, si festeggia una vittoria ai mondiali di calcio.
I porteños amano il calcio come amano la cultura. Ogni quartiere ha il suo stadio, ogni stadio la sua squadra. I suoi intellettuali apprezzano questo gioco, la straordinaria fantasia de los hinchas, (i tifosi) che inventano canti, parole, danze per un rituale che in questo paese non ha detrattori, né rifiuti snobistici. Buenos Aires, nonostante la fama di Messi, è ancora e sempre Maradona, , il numero dieci più famoso del mondo, la mano de Dios. Perché Buenos Aires sa costruire i miti, esaltare le fragilità, coniugare il dolore e la gioia nella stessa storia umana, che sia Evita, o Gardel o Diego o Borges, il grande cieco della sua letteratura.
Buenos Aires, nonostante la sua ordinata topografia, è come un labirinto emozionale, un caleidoscopio di genti, una città europea, americana e sudamericana allo stesso tempo, stratificata nelle sue memorie, con un’identità tutta sua, forte, riconoscibile, che si costruisce ogni giorno nella seduzione perturbante delle sue mille affascinanti contraddizioni. Visitarla, conoscerla regala un’esperienza indimenticabile.