Il calcio popolare è una realtà ormai decennale che da nord a sud sta assumendo sempre più un ruolo importante e un polo attrattivo di realtà che vengono dal ceto sociale più basso, ma non solo. «Per calcio popolare – si fa riferimento in una intervista – si intende la formazione, la gestione e il tifo per una squadra di calcio fatta e gestita direttamente dai tifosi, che esca dalle logiche di profitto e dal basso si autofinanzi e riesca a portare in campo e fuori dei valori comuni, ormai completamente perduti nel calcio moderno» (Michele Di Matteo, Squadra di calcio popolare: “Sarà di tutti, ma non vogliamo padroni”, in «Vesuvio Live, 29 maggio 2015). Esso è essenzialmente espressione socio-politica dei centri sociali dove inizialmente è nato, di alcuni gruppi ultras delusi dalle squadre maggiori, di collettivi studenteschi, delle associazioni operanti sul territorio in favore delle persone più disagiate, con la convinzione che un calcio pulito e sano (e lo sport in generale) si possa realizzare in questa società opulenta e mercimoniosa, contraddistinguendosi e lontano mille miglia da quello milionario che ha perso la sua funzione sportiva di lealtà e di aggregazione.
Il calcio popolare nasce come contrapposizione alla noia che tristemente offrono alcuni luoghi, dove i giovani la sera o nel fine settimana non sanno cosa fare, come divertirsi, come socializzare. La loro presenza sul territorio, dove sono sorte, è costante e va al di là dell’aspetto sportivo: legati a comitati o partiti della sinistra più estrema, antagonista, propongono un calcio di altri tempi, cioè senza remunerazioni né per i dirigenti né per i calciatori, accettando solo sponsor di piccole attività commerciali. Un calcio fatto di passione, coreograficamente partecipativo e simile alle tifoserie organizzate di squadre professionistiche (tamburi rumorosi, fumogeni, ecc.). Ma è l’autotassazione il finanziamento principale, la compartecipazione alle spese, l’azionariato popolare dove i sottoscrittori diventano soci e proprietari allo stesso tempo. Una vera famiglia, insomma, coesi anche sui problemi d’affrontare e da risolvere che si incontrano quotidianamente. Dunque, la loro adesione allo sport va al di là del gesto sportivo in sé, in quanto si occupano di immigrati, di controllo del territorio contro la malavita organizzata e lo spaccio di droga, di istruzione, di aiuti umanitari e di prima accoglienza dei più bisognosi, controllo del territorio a livello sociale con proposte propositive, il tutto con ferma condanna a ogni tipo di discriminazioni, nel solco dell’antifascismo, dell’antirazzismo e della lotta all’omofobia.
Vediamole più da vicino alcune di queste realtà italiane, quelle più note, non prima di sottolineare che nel programma di queste realtà c’è la condivisione degli stessi ideali con proposte sociali simili, con periodici confronti in assemblee organizzate in varie città, allo scopo di condividere i comuni disagi, le comuni esperienze e delineare una linea politica comune. Ardita San Paolo di Roma: nata tre anni fa grazie a un gruppo di amici stufi degli stadi di Serie A; Centro Storico Lebowski di Firenze: milita in Prima Categoria dove è appena approdato,finanziato e gestito da una società fatta di tifosi non-ultras della Fiorentina. Antifascisti e antirazzisti, ma sui campi di gioco non rivendicano nessuna istanza politica o ideologica, solo divertimento e aggregazione; Ideale Bari: espressione del mondo ultras, anch’essi stufi di un calcio “irriconoscibile”, che si finanziano con l’azionariato popolare; Brutium Cosenza: come il Centro Storico Lebowski, nasce dall’impegno di un gruppo antifascista e antirazzista della Curva Nord del Cosenza; Atletico San Lorenzo di Roma: squadra di Terza Categoria, finanziata e gestita da un intero quartiere, quello di San Lorenzo; Liberi Nantes: la prima squadra di calcio in Italia interamente composta da immigrati e richiedenti asilo politico; Konlassata di Ancona: stessa politica della Liberi Nantes; Spartak Lecce: anche questa realtà sportiva ha nel suo programma l’integrazione razziale e degli immigrati del territorio salentino, attraverso l’organizzazione di un torneo amatoriale cui prendono parte selezioni del Brasile, Albania, Senegal, Montenegro, Sri Lanka e Marocco.
Sul territorio napoletano queste realtà di calcio popolare si chiamano Lokomotiv Flegrea di Bagnoli, Stella Rossa, Afro Napoli United e ASD Quartograd. Quest’ultima è senza dubbio quella più conosciuta, operante su un territorio molto difficile come quello di Quarto, dove più volte l’amministrazione comunale è stata sciolta per infiltrazioni camorristiche. Proveniente dall’esperienza del “Torneo Antifascista e Antirazzista” di calcio a 8, viene fondata il 26.06.2012 da un gruppo di giovani attivisti comunisti della locale sezione del Partito dei CARC (Comitati di Appoggio alla Resistenza per il Comunismo). In disappunto con il calcio industriale e capitalista, espressione della società in cui viviamo, decidono di progettare una società di calcio “diversa” con l’azionariato popolare dove dirigenti e soci intervengono in eguale misura nella gestione e programmazione del sodalizio sportivo. Radicato nel tessuto urbano del territorio, realizza di cineforum, presentazioni di libri, dibattiti culturali e politici, tornei di calcio con i bambini delle scuole e un avviamento alla pratica calcistica totalmente gratuita dove possono aderire tutte le classi sociali.
Ormai tutti i quartesi e non, conoscono questa realtà e le sue battaglie sociali e politiche, la lotta alla sopraffazione e ingerenze camorristiche nel tessuto del territorio di cui per decenni si subiscono le prepotenze, la lotta al fascismo e al razzismo, con eco anche a livello nazionale. Sportivamente parlando – ma è la parte che meno ci interessa in questo contesto ?, in tre anni dalla Terza Categoria è approdata in Promozione, dove attualmente milita. Allenata da Fabio Amazzini, l’obiettivo di quest’anno è ripetere i play-off dell’anno scorso.