Il Pub Charlie Brown
Bourbon in un giro di blues di Giovanni Coppola edito da Algra Editore è un romanzo che cattura il lettore fin dalle prime pagine. L’ iniziale atmosfera accogliente prepara il lettore alla dura realtà delle pagine seguenti che si intrecciano con le chiacchiere al Charlie Brown, il pub di Felix, l’isola felice dei quattro protagonisti del romanzo. A fare da sfondo ai sogni, alle speranze e alle delusioni dei personaggi c’è Catania, la città di Giovanni Coppola, che ci restituisce storie di mafia e di connivenze che la avvelenano e che racconta un clima di corruzione e immobilismo.
In Bourbon in un giro di blues di Giovanni Coppola si parla anche di anni di piombo, di malavita, di droga e di corruzione, temi che aprono ferite in ognuno di noi e che si alternano alle disillusioni dei protagonisti di questo romanzo, ricco di spunti e riflessioni.
Ringraziamo Giovanni Coppola per le sue interessantissime risposte che ci hanno dato la possibilità di capire la necessità che ha spinto l’autore a trattare determinati temi.
Bourbon in un giro di blues di Giovanni Coppola
Salve Giovanni, lei è nuovo ai lettori di Cinquecolonne Magazine, ci racconta brevemente cosa le piace e cosa fa nella vita?
Innanzitutto, un caro saluto ai lettori di Cinquecolonne Magazine e un grazie particolare a voi. Le rispondo: sono attratto dalla semplicità, dalla convivialità e dai libri. Mi piacciono anche le tradizioni, autentici forzieri di valori e saperi. Nella vita oltre che scrivere svolgo l’attività di imprenditore e non so decidermi quale considerare professione e quale hobby.
Il suo romanzo è decisamente contro il politicamente corretto. Come le è nata l’idea? C’è stata una notizia, un evento che le ha fatto scattare la scintilla?
Il mio è un romanzo “contro” non solo il politicamente corretto, ma anche contro la biopolitica e contro l’ipocrisia di certe narrazioni egemoniche. Mi risulta insopportabile sia il tentativo insistente di rimuovere la natura e sia l’opprimente coltre biologica che si vuol mettere sopra le nostre vite. Natura significa mondo originario, differenze originarie, pensiero originario. La nostra civiltà nasce da tutto questo. Così come non tollero l’ipocrisia che ha ammantato un certo periodo storico denominato “anni di piombo”, che ha come parentesi di apertura l’omicidio dell’agente di polizia Annarumma e quella di chiusura l’omicidio del militante di destra Paolo Di Nella; all’interno di esse sono state scritte orribili bugie e commesse terribili ingiustizie. Nessun evento, ma una presa di coscienza ha determinato la mia denuncia.
C’è un protagonista a cui si sente particolarmente vicino, che le assomiglia?
Io vivo, diluito, nei miei personaggi, ognuno di loro ha una parte di me. Quindi ritengo che, anche minimamente, tutti mi somigliano. Gli scrittori sono dei demiurghi, dei creatori di mondi a loro somiglianza. Tecnicamente non può esistere nessun distacco asettico tra lo scrittore e i suoi personaggi. È come se Dio voltasse le spalle alle sue creature, pensiero che cozzerebbe contro il dogma che accomuna tutte le religioni. Impossibile…impossibile.
Lei ambienta Bourbon in un giro di blues a Catania, la sua città. E’ difficile raccontare la parte brutta della propria città. C’è più speranza o più rabbia nella penna di chi scrive quando si affrontano certi nodi?
Catania è la città delle contraddizioni, ha delle caratteristiche che la rendono bella e che solo lei possiede, ma è anche la città delle grandi periferie, che la rendono brutta e appesantita. Le grandi periferie sono quelle che determinano il futuro sociale, politico ed economico di una città. Le periferie catanesi sono luoghi anonimi, di un brutto che abbrutisce, che non hanno narrazione e che rappresentano per chi ci vive quadri di riferimento che contengono una piramide capovolta di valori. Lo scrittore ha il dovere di evidenziare i limiti e le storture della città che ama. Io amo troppo Catania e per questo attraverso la scrittura denuncio i suoi limiti e le sue brutture.
Alcuni pensano che gli scrittori abbiano temi particolari, quasi delle ossessioni su cui scriveranno per tutta la vita. Lei ne ha?
É vero che gli scrittori hanno dei temi particolari che si evolvono in ossessioni. Penso a James Ellroy, tormentato dall’omicidio della madre o a Celine con il suo disgusto per il genere umano. I loro romanzi sono caratterizzati fortemente da queste ossessioni. I miei romanzi esprimono un realismo critico che fa emergere diverse denunce, non solo un tema o un tormento. Denuncia contro il politicamente corretto, contro l’abbandono e l’abbrutimento delle periferie, contro la fascinazione delle organizzazioni criminali, contro l’abbandono in senso lato. Però se devo considerare un comune denominatore dei miei due romanzi, credo che sia quello dell’amore scorbutico.