Guardava la sua opera d’arte con orgoglio e fierezza. La mostra era stata un successo. Un pienone. Gente ovunque. Ormai aveva spiccato il volo. Era l’artista della gente che contava, il jet set della città. Pagavano fior di quattrini per avere una sua opera. L’ idea gli era venuta osservando le palle di vetro. Quelle che agitavi e subito tutto il contenuto magicamente si animava e si copriva di neve. Da bambino restava per ore affascinato a guardare i lenti fiocchi cadere in dolci volute. E ora le sue opere, nate così. Grandi strutture in resina che contenevano figure umane a grandezza naturale. Tutti corpi femminili, la donna era senz’altro più appetibile come contenuto del corrispettivo maschile. Soprattutto per le coppie gay. Le sue clienti erano infatti per la massima parte personalità di spicco dichiaratamente omosessuali. Ma quello era un dettaglio, l’importante che i soldi, tanti, finissero nel suo conto in banca. Non era avido, ma gli piaceva la bella vita.
Si soffermò a guardare la sua ultima opera. Una chicca, del resto aveva già un compratore. La ragazza dentro al blocco era di una bellezza sconvolgente. Aveva tratti delicati lievemente orientaleggianti. Una meraviglia.
– “Fleming amoooore “- la sua agente Dora lo stava apostrofando venendogli incontro con le braccia spalancate in un abbraccio che lui aveva schivato con maestria. – “Dora carissima…spero che sarai contenta anche stavolta” – Le aveva risposto lui di rimando. Lei abbozzò un sorriso un po’ironico più per l’abbraccio mancato che per il commento.
– “Mio caro non avevo dubbi. Ormai sei un talento inarrestabile. Anzi mi viene da chiederti a quando la prossima opera. Vanno a ruba e tu sei piacevolmente prolifico” -. E con un sorrisetto intriso di perfidia gli diede un buffetto un po’troppo sostenuto. Vipera del cazzo -pensò Fleming- solo perché non ti ho portata a letto, con tutti i soldi che t’ho fatto guadagnare. Stronza. Sul suo viso aleggiava un sorriso sornione. Detestava quella donna. Era fastidiosa come il SALE in una ferita. Se non fosse stato per il lavoro l’avrebbe…su su Fleming si disse, ogni pane ha la sua crosta, un vecchio insegnamento di nonna Claire.
– “A proposito” – esordì improvvisamente Dora – “Ma dove li trovi quei manichini così realistici? Sembrano quasi vive, reali. Quest’ ultima poi con questo tocco così macabro è a dir poco sconvolgente e quelle farfalle poi, un tocco da maestro” – Si ritrasse fissando le mani della ragazza orientale che all’interno della sua prigione di resina, premevano sanguinanti contro la superficie, mentre delle farfalle dalle ali nerastre sembravano danzarle intorno in un macabro balletto. Fleming che le stava dietro le fissava la nuca. Quanto avrebbe voluto spezzarle tutte le vertebre. Una a una. Allungò una mano, quasi senza accorgersene. Ma si bloccò istantaneamente mentre lei si voltava con aria interrogativa aspettando una risposta. Ritrasse di scatto la mano passandosela sui corti capelli in un gesto forzato. – “Beh” -rispose lui – “ho i miei segreti. Contribuiscono a rendere le mie opere, diciamo… particolari? Se svelo tutto non c’è più gusto. Il mistero aiuta le vendite. Non trovi mia cara?” – Con fare mellifluo le si sporse quasi a sfiorarle una guancia con le labbra. Sentì un brivido nella donna. – “Indubbiamente Fleming, indubbiamente. Sei un ragazzaccio ma ti adoro.” Gli sorrise accattivante ed allusiva mentre lui tratteneva a stento il disgusto. Ma doveva ammetterlo, quella donna aveva le conoscenze e gli agganci giusti. Aveva fatto una fortuna da quando era la sua agente. Del resto, bisognava ammettere che lui era veramente geniale. Si quelle farfalle erano state un’ispirazione azzeccatissima. Per fortuna era quasi ora della chiusura della sua personale. Non vedeva l’ora di essere a casa con un bicchiere di pinot grigio ghiacciato e…tutto il resto naturalmente.
Alla fine, il suo desiderio venne esaudito e come Dio volle quell’interminabile pomeriggio finì. Il tanto agognato calice di vino ghiacciato era nelle sue mani dopo una cena frugale. Andò nello studio dove creava le sue meraviglie. Era una stanza grandissima. Si sedette sul divano che occupava una parete, sorseggiando lentamente il vino. Con fare pensoso guardava il blocco di resina che avrebbe contenuto la sua opera. Un mugolio sommesso proveniente dall’ altro lato dell’enorme stanza lo disturbò dalle sue riflessioni. Pareva il guaito di un cane, flebile e continuo. Alzò gli occhi al cielo. Detestava essere disturbato mentre si concentrava. Accese le potenti luci, che accecanti illuminarono a giorno lo studio. Sulla parete in fondo si trovavano degli agganci a muro che tenevano ammanettato un ragazzo. Piangeva sommessamente, tentando di liberarsi. Ma ormai le forze l’avevano quasi abbandonato. Lui gli si avvicinò lentamente. – “Shh… mio giovane amico” – gli toccava delicatamente i capelli albini che incorniciavano un viso pallido come il latte in cui spiccavano due stupefacenti occhi chiarissimi. Due acque marine. Certo l’idea di utilizzare un maschio questa volta avrebbe stupito l’intera platea. Nessuno se lo aspettava, ne era certo. E così avrebbe sicuramente conquistato tutta la clientela gay. Il ragazzo, poco più che un bambino, cercava inutilmente di liberarsi piangendo. – “Stupida creatura” – urlò Fleming – “ma non capisci che sarai eterno? La tua bellezza rimarrà per sempre custodita. E ammirata” –
Un lungo tubicino fuoriusciva dal braccio del fanciullo. L’uomo aprì la valvola a farfalla e lentamente il sangue del ragazzo cominciò a defluire dal suo corpo. In capo a due ore sarebbe stato pronto. Dissanguato e poi sapientemente imbalsamato all’interno di una teca che l’avrebbe consegnato ai posteri per l’eternità. Indugiò ancora un attimo a guardare il bellissimo viso dell’adolescente. Era un capolavoro e trovarlo aveva richiesto sforzo e impegno. Sarebbe stato uno dei tanti scomparsi e mai più ritrovati. Si recava all’estero per trovare i suoi modelli tra i reietti, i senza tetto. Quasi sempre gente senza fissa dimora o addirittura comprati per pochi denari venduti da genitori ubriaconi e sbandati. Nessuno avrebbe mai reclamato. O indagato. Era al sicuro su questo non c ‘era nessun pericolo. Stava per mettere i guanti e procedere alla preparazione della sua prossima opera. In quel momento il campanello alla porta suonò. Con un moto di stizza calzo’ il secondo guanto. Avrebbe lasciato che suonassero, alla fine si sarebbero stancati e se ne sarebbero andati. Chiunque fosse. Non aspettava alcuno e quello della preparazione era il momento che preferiva. Non se ne sarebbe privato nemmeno se alla porta ci fosse stato il presidente in persona. Il suo visitatore però non demordeva. Continuava a suonare con insistenza senza desistere. Forse era meglio andare a vedere altrimenti avrebbe messo in movimento tutto il palazzo. Era un attico in una zona residenziale, gli inquilini erano tutti persone di ceto sociale altolocato. Sì meglio non attirare l’attenzione. Si sfilò i guanti imprecando e richiuse la porta dell’immenso studio dietro di sé. Quando aprì il portoncino d’ingresso rimase impietrito. Dora se ne stava lì impettita con un sorriso accattivante. Lui mascherò subito lo stupore e la rabbia che gli stava salendo. Che cazzo voleva quella stupida donna…ma le si rivolse con fare mellifluo come se fosse piacevolmente sorpreso della sua presenza lì.
– “Fleeeeeeeming, tesoooro ho pensato di farti una visita. Non ti ho disturbato vero caro? Prendi ti ho portato dei pasticcini deliziosi. Ho pensato che avremmo potuto mangiarli insieme” – Dora gli porse un pacchettino tutto infiocchettato guardandolo ammiccante. Poi aggiunse – “Non ti ho mai visto creare le tue opere e pensavo…dato che ci conosciamo da tanto tempo…se non avessi potuto vederti all’opera” -sbattendo le ciglia, Dora gli passò scaltramente davanti introducendosi in casa sua. Non ebbe nemmeno il tempo di replicare, la donna era stata fulminea. Ne fu un po’ sorpreso dato che era di una stazza notevole. A denti stretti fu costretto a fare buon viso a cattivo gioco. Reprimendo la rabbia che ormai lo riempiva si girò verso di lei e con uno dei suoi sorrisi magnifici le rispose- “Dora che magnifica sorpresa. Non potevi farmi più felice…ma stasera non lavoro mi coricherò presto. Ho un leggero mal di testa. Perciò mia cara ti ringrazio ma ti devo congedare con mio profondo rammarico. Questi pasticcini hanno l’aria di essere deliziosi sì” – Si mise di fronte a Dora che nel frattempo dopo aver guardato in giro per bene si era seduta sul candido divano di pelle beige del salotto. Lei gli fece cenno di andarle a sedere accanto, ma Fleming fece finta di non accorgersene. Doveva assolutamente sbarazzarsi di quella troia. Ora il nervosismo e la rabbia erano alle stelle. – “Devo insistere Dora, perdonami ma è davvero una gran brutta serata. Mi devo congedare mio malgrado da te e da…” – allargò la mano indicando il vassoio di pasticceria posato sul tavolino di cristallo posto di fronte alla donna.
“-Fleming tesoro mi dispiace che tu non ti senta troppo bene ma…una veloce sbirciatina al tuo prossimo capolavoro mi farebbe contenta. Non vuoi fare felice la tua agente caro?” – aggiunse lei alzatasi di scatto diretta verso la porta chiusa in fondo all’ ampio salone. Era stata veloce più di un gatto, imprevedibilmente data la sua mole. L’ uomo non se l’aspettava e tutto lo colse di sorpresa. Dora aprì la porta dello studio senza che lui potesse impedirglielo. E accesa la luce, non seppe nemmeno lui come, si ritrovò nell’ enorme stanzone. Dapprima accecata dall’ intensità delle lampade non vide nulla. Strizzando un po’ gli occhi disse – “Ragazzaccio allora è qui dove crei le tue meraviglie… Oddio mio” – la voce le morì in gola e sbiancò in volto. Dovette reggersi alla maniglia della porta per non perdere i sensi. In fondo alla stanza il ragazzo era ormai senza vita. Gemeva un poco ma ormai era arrivato alla fine. Con un grido mozzato in gola Dora ad occhi spalancati fissava ora il fanciullo ora l’artista. Gli occhi pieni di lacrime. Doveva fare qualcosa. In quel momento Fleming la prese da dietro e con un gesto preciso e diretto le spezzò le vertebre cervicali. Lei cadde giù come una bambola senza vita. Gli occhi sbarrati pieni di terrore. – “Stupida troia” – l’uomo sibilò – “te l’avevo detto che non era la serata giusta” –
Tutto era pronto per la mostra. La galleria era strapiena di gente. Era un po’ annoiato da tutta quella confusione ma era un prezzo che doveva pagare, lo doveva al successo e a tutto quello che comportava. Il ragazzo albino, come aveva previsto, era stato un colpo da maestro. Aveva già un compratore. – “Fleming…” – una voce dietro di lui lo riscosse. – “Mia adorabile Ursula “-disse chinandosi in avanti in un elegante bacia mano. – “E’un onore essere la tua agente. Dopo la sparizione di Dora era mio desiderio accompagnarti in questa meravigliosa avventura che è il tuo immenso talento…a proposito hai avuto sue notizie di recente?” –
Fleming finse di essere un po’ dubbioso poi esordi- “Fammici pensare…uhmmmm… si sì che sbadato con tutti questi preparativi me ne ero completamente dimenticato. Mi ha scritto dall’ Australia ti saluta. Ora finalmente si sta rilassando godendosi la vita. Sai che era suo desiderio lasciare tutto. E fare la bella vita che meritava. Del resto, le ho fatto guadagnare un bel po’ di soldi” -Rise sguaiatamente per rafforzare il tono allegro della conversazione. – “A me non aveva mai detto nulla ma non eravamo così intime” – replicò Ursula. Conversando lui l’aveva sapientemente guidata, tutt ‘altro che casualmente, davanti al blocco di resina al centro della sala. – “Certo questo tuo tributo a Dora è veramente un gesto di grande delicatezza Fleming” – disse Ursula indicando il grande parallelepipedo contenente la figura di Dora. – “Si…” -rispose Fleming- “sono sicuro che se lo vedesse le piacerebbe molto” – e con un sorriso sottile si diresse verso gli astanti che lo acclamavano.