Nelle sale dello Studio Museo Francesco Messina si ammira la mostra “Belle di Natura” a cura di Francesca Bacci e Maria Fratelli, aperta dal 9 marzo al 4 aprile, in cui le sculture del maestro dedicate ad Accolla, Fracci e Savignano negli anni Cinquanta, entrano in dialogo con le fotografie delle tre danzatrici ritratte da Gianluca Balocco e con gli arazzi disegnati di Zachari Logan, che si esprime sulle affinità del creato.
La mostra inaugura l’8 marzo con Aida Accolla, Carla Fracci, Luciana Savignano, in occasione della giornata dedicata alla donna, e invita a una riflessione sulla bellezza, su come la costruiamo all’interno della nostra cultura e del nostro giudizio e su come esiste in natura. Una riflessione che coinvolge tutti gli esseri umani, di qualunque sesso, e che a partire dalla rappresentazione delle donne ritratte da Messina sottolinea come quel paradigma si sia evoluto negli anni diventando oggi più complesso.
L’esposizione organizzata dal Comune di Milano, Assessorato alla Cultura – Studio Museo Francesco Messina, voluta dalla direttrice del museo Maria Fratelli, è inserita nel ciclo di appuntamenti “Il lato della scultura” dedicato al rapporto tra scultura, l’immagine bidimensionale, che la rappresenta, la evoca o le risponde, sia essa fotografia o disegno.
La selezione di 18 scatti di Gianluca Balocco, realizzati con un apposito set fotografico nelle storiche sale di Palazzo Reale per ritrarre tre celebri ballerine di fama internazionale, sono il risultato di un lavoro in cui le tre donne emergono per la loro forza, esperienza e vigore nel corpo esile e flessuoso come un giunco, modellato dal tempo. Si tratta di un’opera concettuale in cui il vestito indossato viene considerato come elemento di collegamento fra la realtà e una dimensione astratta e assume un ruolo e un peso diverso e del tutto personale per ogni danzatrice. Aida Accolla, con creatività e ironia indossa costumi di scena, e con essi diversi ruoli, immedesimandosi in una pianta che attraversa le differenti stagioni; Carla Fracci indossa un abito ideato per la mostra insieme all’artista, lungo 11 metri a indicare lo scorrere del tempo e di colore verde, in sintonia con la natura; Luciana Savignano con abiti lisi e consumati usati nell’allenamento di una vita, viene ritratta come una guerriera samurai, fisica e vitale.
Le tre figure femminili incarnano tre modi diversi di essere donna e di definire la bellezza, suggerendo riflessioni sull’omologazione estetica diffusa nella società contemporanea; in mostra le fotografie di piante sacre indiane riprese nella loro interezza, comprensiva di radici, rimandano alla unicità di ciascuna ballerina.
La loro bellezza naturale, frutto di esperienza e di maturità è paragonata dalla curatrice Francesca Bacci a quella presente nel regno vegetale: “in natura, infatti, vengono lodate le piante mature che, arrivate a quota, hanno rallentato la crescita per investire nella gestione della propria complessità. È la bellezza di una forma data dal tempo, fatta di forza e slancio, di resistenza e flessibilità, che esige rispetto. Bellezza permanente, non transeunte, perché sublime, nel senso etimologico del termine: che giunge e incalza fin sotto alla soglia più alta, al limite estremo della grandezza, punto di non ritorno, oltre il quale anche il pensiero si perde“.
Il legame con il mondo vegetale si fa concettualmente imprescindibile anche nei lavori policromi di Zachari Logan che propone The Gate, un disegno realizzato ad hoc che si sviluppa in verticale come un arazzo sui tre piani del museo. Le tre sezioni dell’opera, in cui sono rappresentate differenti varietà di vegetazione che si rarefanno nella parte superiore, assumono la valenza di fondale scenico alle opere di Messina la cui presenza è evocata dagli spazi vuoti che alludono a un immaginario posizionamento delle sculture tra le foglie e dall’utilizzo di tutti i toni di verde presenti nelle patine metalliche dei lavori del maestro.
Una metafora dell’ascesi spirituale che Logan mette in parallelo alle cantiche dantesche, un viaggio che si intraprende varcando un cancello, come cita il titolo stesso, e che dà accesso a un nuovo mondo. Come per Balocco, in Logan la natura è metafora da leggere con attenzione per allontanarsi da paradigmi deviati e devianti di bellezza che spesso si impongono nella società. Questo arazzo disegnato e scultoreo, fluttuante nello spazio vuoto al centro del museo, rifiuta il ruolo di sfondo, imponendosi come protagonista, facendoci sentire la nostra insignificanza nel confronto con il sublime, con l’infinita varietà di alberi, di piante tropicali e di erbe infestanti che, indifferenti al nostro giudizio di valore legato solo al possibile uso o sfruttamento per fini umani, sono fondamentali all’ecosistema per il loro ruolo legato al bio-equilibrio del pianeta terra.
Per completare il sovvertimento dei valori, al piano sotterraneo, a raccogliere il messaggio di questo spettacolare arazzo disegnato, chiude concettualmente la mostra l’autoritratto Naked in the rose in cui le foglie si scansano e si intravede nel giardino la figura dell’artista che cammina nudo. È una risposta ai corpi rappresentati da Messina, corpi in cui l’identità dei nudi atletici maschili contrasta con quella aggraziata e sensuale femminile propria dell’epoca, in una dicotomia risolta e armonizzata nel nudo di Logan, concettualmente al centro di una linea ideale tra questi due poli – maschile e femminile -, reso in monocromo rosa fuxia con uno stile realista che esprime unione, affinità con il creato, appartenenza al mondo come le radici delle piante al terreno. Una figura, questa, che chiude il cerchio delle identità possibili, fisiche, espressive e potenti, modulate da Messina nel vigore della giovinezza, riprese nei corpi potenti e naturali dalle ballerine di Balocco e risolte nel nudo profondamente umano di Logan.