Secondo il quotidiano belga Het Nieuwsblad, i detenuti potranno utilizzare un proprio telefono per telefonare dalla propria cella. L’obiettivo? È duplice: ridurre il carico di lavoro delle guardie carcerarie e aumentare la sicurezza in prigione.
Il quotidiano rivela che nei prossimi giorni una rete telefonica verrà installata nel primo carcere del Belgio. Nel mese di novembre, la rete sarà ampliata in tutte le prigioni dello stato nordeuropeo.
Per Kathleen Van de Vijver, portavoce per l’amministrazione penitenziaria belga, la “Chiamata dalla cella aumenterà la sicurezza in prigione,”. Concretamente, ogni detenuto potrà beneficiare di un proprio telefono cellulare nella propria cella. Il che significa che gli addetti di polizia penitenziaria non accompagneranno più i ristretti per consentire loro di effettuare le chiamate telefoniche personali consentite dall’ordinamento con la conseguenza che potranno dedicare più tempo alle altre attività ed in particolare alla sorveglianza.
In questo modo “Il detenuto sarà in grado di chiamare la persona di sua scelta quando vorrà,” ha commentato Kathleen Van de Vijver ed ha ricordato che attualmente “Molti detenuti che non riescono a raggiungere telefonicamente i propri figli quando tornano a casa da scuola sono frustrati. Con questo dispositivo, non accadrà più.”. Tuttavia la possibilità di utilizzare il telefono non sarà illimitata: i detenuti non potranno ricevere chiamate.
Vi sarà una black list con numeri vietati (servizi di polizia, il Palazzo reale o politici) che verranno bloccati. Ovviamente si tratta di un’idea rivoluzionaria e non inconcepibile per un ordinamento penitenziario che guarda senz’altro alla primaria funzione rieducativa e non solo a quella punitiva della pena, come dovrebbe essere in un’ottica antitetica a quella italiana, dove la limitazione con le comunicazioni esterne, così come la tutela dell’affettività dei detenuti è ferma a concezioni arcaiche e conosce solo pochissime positive ed isolate esperienze, tanto che il carcere si rivela ancora per la sua dimensione afflittiva e peggiorativa delle condizioni di vita dei ristretti, le cui storie ci raccontano che nella realtà rimane ancora una delle principali accademie della delinquenza del Belpaese.
D’altro canto, rileva Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, è assurdo che altrove non si sia pensato prima che la possibilità di utilizzare il telefono per chiamate più frequenti, almeno con i propri familiari, e non solo per la classica e unica chiamata di 10 minuti concessa a settimana, può solo servire a migliorare le condizioni di vita di chi sconta la pena, con la conseguenza che si riducono le afflizioni che conducono al naturale e probabile imbarbarimento che già si vive nella quotidianità dei penitenziari. Non è da sottovalutare, infine, che le comunicazioni telefoniche costituiscono uno dei mezzi di interlocuzione più semplici da monitorare da parte dell’autorità giudiziaria nel momento in cui si ritenga possano essere utilizzate per la perpetrazione di attività criminale, e pertanto non possono arrecare alcun potenziale pericolo ove si prendano le necessarie precauzioni tecniche e le dovute limitazioni.