Barbie cammina sulle punte, fa la doccia senz’acqua, beve il nulla che vien fuori dai cartoni di succo d’arancia, scivola sullo scivolo fino a non tuffarsi nella finta piscina che decora l’esterno della “Casa dei sogni” di ogni Barbie, diversa nel look, omologata nella sostanza, che vive in BarbieLand, il mondo matriarcale e pacifico di plastica rosa, popolato da ogni genere di Barbie-professionista, realizzata e felice, con accanto un biondo Ken di rappresentanza – il bravo Ryan Gosling – nullafacente e muscoloso tipo da spiaggia californiano, alla Beach boys per intenderci.
Barbie, un po’ di trama
I due hanno un idillio platonico da tempo immemore, lui vorrebbe altro, magari dormire con lei, ma non sa perché e cosa potrebbero fare insieme. In fondo lei non ha la vagina e lui non ha il pene, ma son contenti uguale. Un vero spreco di beltà e muscoli. In compenso vivono una vita perfetta, risparmiata da ogni ansia e malattia, una vita che si incrina quando Barbie Stereotipo – la bella e simpatica Margot Robbie – inizia ad avere pensieri di morte insieme alla cellulite e ai piedi piatti.
Può esistere una Barbie che non sta sulle punte? No di certo, qualcosa deve essere andato storto aprendo una falla tra il suo mondo e quello reale. “Devi chiudere quella falla per tornare ad essere chi sei” le suggerisce Barbie Stramba, “per farlo devi passare nel mondo reale e trovare la bambina che giocava con te da piccola, la tua bambina”. Barbie parte e insieme a lei Ken, passeggero clandestino ma ben accetto.L’esperienza di Barbie nel mondo reale sarà tumultuosa e frustrante. Il suo modello di perfetta perfezione crea frustrazione e rifiuto tra le ragazzine, qualcuno l’accusa d’essere fascista…
Da BarbieLand alla Mattel
Alla Mattel non andrà meglio, il gruppo dirigente, tutto declinato al maschile e capitanato dal boss, Will Ferrel, con cravatta rosa e la pretesa d’essere chiamato Mamma, ha un unico imperativo: “rimettere Barbie nella sua scatola”. Barbie non ci sta, fugge via grazie all’aiuto della sua inventrice, la fantasmatica Mrs Ruth Handler, interpretata da Rhea Perlman, e di Gloria – America Ferrera – la donna che, alla Mattel, ne disegna gli abiti e le ha involontariamente trasmesso i suoi brutti pensieri, le sue insoddisfazioni. Gloria riconduce Barbie fuggitiva a Barbieland, dove in nome del patriarcato importato da Ken, di ritorno dal mondo reale, i maschi litigiosi hanno preso il potere riducendo ogni Barbie, presidente, medico o giudice che sia, al vecchio ruolo di ancella del focolare e tagliatrice di bistecche.
Gloria ricorderà ad una Barbie avvilita cos’è una donna libera e insieme coinvolgeranno tutte le altre in un piano per ristabilire la supremazia delle Barbie e del colore rosa. Il vecchio equilibrio viene ripristinato, ma Barbie non è più la stessa, ha acquisito una nuova consapevolezza di sé, non può più riconoscersi nel carattere infantile e nei corpi perfetti di BarbieLand, decide, allora, di tornare nel mondo reale. E dunque Barbie diventa icona di un possibile femminismo all’interno di un mondo capitalista con tutte le contraddizioni del caso?
Fashion-doll?
La scelta, registica e poi produttiva, della rinuncia alla perfezione inarrivabile e frustrante per ogni donna reale può fare di questo giocattolo un punto di riferimento per le bambine di tutto il mondo, alle prese col vecchio e scricchiolante modello machista? Chissà! Il film, primo adattamento cinematografico live action della fashion-doll più famosa, affidato alla regia di Greta Gerwig, che ne è anche sceneggiatrice insieme al marito Noah Baumbach, è una riuscita commedia tra il camp e il musical, ironica e folle, pienamente godibile nella sua prima parte tra trionfi di costumi e scenografie da Oscar e trovate divertenti.
Un po’ lunga, e appesantita da troppe tematiche non sviluppate, la seconda parte, che termina con Barbie dal ginecologo a sancire la sua nuova, piena, umana, femminilità. Non si sarà messa in testa di fare un figlio?