Mentre inizia l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, Save the Children chiede a tutti i Paesi di intervenire con urgenza per dare un futuro ai bambini sfollati e rifugiati, esclusi da accesso a educazione e cure sanitarie ed esposti a pratiche dannose e a rischio di contrarre infezioni e morire per cause facilmente prevenibili.
Una popolazione tra le più giovani e con il tasso di crescita demografica più alto al mondo, ma in fondo alla classifica globale per il tasso di frequenza scolastica e con un livello allarmante di mortalità infantile per cause prevenibili, come la polmonite: sarebbero questi gli indicatori chiave dell’ipotetico Paese ‘creato’ da Save the Children, l’Organizzazione dedicata dal 1919 a salvare la vita dei bambini in pericolo e a tutelare i loro diritti, immaginando di raggruppare tutti i rifugiati del mondo in un unico Paese, con l’obiettivo di attirare l’attenzione sui loro bisogni e fare chiarezza sulla loro situazione. Un Paese che sarebbe 21° al mondo per numero di abitanti, davanti a nazioni come l’Italia e il Regno Unito.
Il nuovo rapporto ‘Forced to Flee: Inside the 21 Largest Country’ (‘Costretti a fuggire: dentro al 21° Paese al mondo’) diffuso oggi da Save the Children prende in esame i principali indicatori sulle condizioni di vita del ’21° Paese’ confrontandoli con quelli degli altri Paesi, in particolare sulle aree che influiscono sul benessere dei bambini – dall’educazione, all’accesso alla salute e all’acqua, fino alla mortalità materno-infantile e alla disoccupazione. Dai risultati emergono da un lato le enormi difficoltà che rifugiati e sfollati interni devono affrontare, ma dall’altro il prezioso contributo che questi potrebbero apportare ai Paesi e alle comunità ospitantise venisse loro permesso di lavorare legalmente.
Ogni giorno i conflitti e le persecuzioni costringono quasi 34.000 persone nel mondo – 24 persone al minuto – a fuggire dalle loro case per cercare rifugio altrove. ‘Così come nel caso del team di rifugiati creato dal Comitato Olimpico Internazionale che abbiamo visto gareggiare di recente nelle Olimpiadi di Rio, immaginare tutte le persone in fuga come residenti di un unico Paese è un modo per sottolineare le proporzioni di questo dramma e ricordarci quanto sia urgente dare risposta ai loro bisogni: una popolazione di queste dimensioni non può essere semplicemente ignorata,’ ha dichiarato Valerio Neri, Direttore Generale di Save the Children Italia.
Uno dei dati più allarmanti è la velocità a cui la popolazione del 21° Paese sta crescendo. Il numero di persone rifugiate e sfollate è passato da 59,5 milioni nel 2014 a 65,3 milioni nel 2015: un aumento annuo del 9,75%, superiore a qualsiasi altro Paese al mondo. Al ritmo attuale di crescita, potrebbe diventare il quinto Paese entro il 2030. L’età media è tra le più basse in assoluto, con metà della popolazione che ha meno di 18 anni. Molti di loro non hanno conosciuto altro che instabilità e conflitti nel corso della loro vita e il numero di minori costretti a fuggire da soli dalle loro case è in aumento. In Europa, nel solo 2015, 96.000 minori non accompagnati hanno presentato richiesta d’asilo; il 40% di loro erano minori afghani, che avevano dovuto affrontare da soli un viaggio di 48.000 km.
Il rapporto evidenzia come il 21° Paese sia ultimo a livello globale per l’accesso alla scuola secondaria e quartultimo per quello della scuola primaria(con il 50% di bambini esclusi, davanti solo a Liberia, al 62%, Sud Sudan ed Eritrea, entrambi al 59%). Per le famiglie che vivono in una zona di conflitto, mandare i bambini a scuola è spesso troppo rischioso, a causa dei ripetuti attacchi agli istituti scolastici: in Repubblica Centrafricana, per esempio, si stima che quasi un terzo delle scuole del Paese siano state attaccate durante la guerra civile e più dell’8% sia stata usata dai gruppi armati come base operativa. Per le famiglie in fuga dai conflitti, come dimostrano le evidenze raccolte da Save the Children, i bisogni educativi dei bambini erano una delle motivazioni più forti che li aveva spinti a fuggire dalla guerra, eppure possono passare mesi o addirittura anni prima che molti di loro riescano a iscrivere i bambini a scuola. Attualmente, un milione di bambini rifugiati siriani non va a scuola e moltissimi altri sono a rischio di abbandono scolastico.
Troppi bambini nel 21° Paese muoiono a causa di malattie infettive prevenibili e problemi di salute neonatale. Le principali cause di morte tra i bambini rifugiati sotto i cinque anni sono malaria (20%), polmonite (20%), morte neonatale (11%), malnutrizione (10%) e diarrea (7%). Questi bambini sono esposti a un altissimo rischio di contrarre infezioni, anche a causa delle condizioni abitative e igieniche precarie in cui vivono. Uno studio svolto sui bambini rifugiati del Burundi rivela che le morti materno-infantili sono il 16% di tutte le morti avvenute nel periodo oggetto di esame.
A destare preoccupazione sono anche le pratiche dannose sui minori, come quella dei matrimoni precoci, anche se non esistono dati globali sulla diffusione del fenomeno tra popolazioni sfollate e rifugiate. Uno studio sui rifugiati giordani in Siria rivela però che i matrimoni precoci per le ragazze sono passati dal 12% del 2015 al 32% del 2014: un allarmante aumento del 167% in soli tre anni. Questa pratica, sebbene rappresenti spesso un tentativo delle famiglie di queste ragazze di arginare lo stato di improvvisa povertà e vulnerabilità in cui si trovano, porta invece conseguenze negative che incidono fortemente sulla vita delle ragazze: dall’abbandono scolastico, alle gravidanze precoci e ravvicinate, fino a maggiori rischi di salute e livelli di povertà più alti.
Le persone sfollate hanno spesso difficoltà oggettive nel trovare lavoro, sia per mancanza di opportunità che per l’assenza di politiche che diano loro la possibilità di lavorare in modo legale nel Paese che li ospita. Secondo le stime del rapporto, il 21° Paese potrebbe essere la 54 economia al mondo se la popolazione avesse adeguato accesso all’impiego. Questo dato mostra come i rifugiati dovrebbero essere considerati dai Paesi ospitanti come un’importante risorsa e non come un costo sociale.
Mentre è in corso l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, Save the Children chiede a tutti i Paesi di intervenire con urgenza, impegnandosi concretamente per la difesa dei diritti dei bambini vulnerabili in fuga da violenze e persecuzioni. Questo appuntamento rappresenta un’opportunità storica per costruire un sistema di responsabilità globale condivisa che permetta di proteggere e assistere milioni di minori che viaggiano soli o accompagnati dalle loro famiglie perché costretti da guerre e calamità naturali o perché in cerca di un’alternativa dignitosa alla povertà estrema.
‘Gli attori chiave della comunità internazionale, inclusa l’Unione Europea, devono garantire un piano d’azione specifico per i minori e gli Stati si devono impegnare ad adottare e implementare strumenti in grado di rispondere in maniera tempestiva ed efficace alle esigenze di accoglienza e protezione di questi bambini, attraverso regole concrete che garantiscano pari condizioni di accesso ai servizi per l’infanzia a tutti i minori, maggiore qualità nella rete di accoglienza e di tutela, ma anche ottimizzazione delle risorse pubbliche.’ conclude Neri.