Prima di parlare del verbo essere completiamo con qualche ulteriore noterella il verbo avé. Infatti nella foga di essere brevi abbiamo trascurato di fare qualche raccomandazione a chi scrive in napoletano quando usa questo verbo.
–Se si apostrofa la prima persona (aggio) si deve scrivere aggi’ (ch’aggi’ ’a fà? “Che ci posso fare?”)
-La seconda persona singolare (italiano “hai”) in napoletano è hê (forma più antica haje): Ch’hê fatto? “Che hai fatto?”. La raccomandazione è di segnare sempre il circonflesso, che indica l’avvenuta contrazione di due vocali in una sola (a + i = ê).
–Accanto ad alcune forme regolari sono in uso delle forme contratte che per lo più (per noi inspiegabilmente) non vengono segnalate dalle grammatiche:
âmmo e îmmo per avimmo (“abbiamo”)
âte e îte per avite (“avete”)
êvo / êva per avevo / aveva (“avevo” / “aveva”)
êvamo per avévamo (“avevàmo”)
îveve per avìveve (“avevate”)
êvano per avevano (“avevano”)
L’altro verbo ausiliario, essere, è molto usato nel napoletano come nell’italiano.
Anche qui non riteniamo opportuno trascrivere l’intera coniugazione, avvertendo però che questo verbo ha qualche peculiarità di forma e di uso.
Soprattutto salta agli occhi la doppia forma della prima persona singolare e della terza plurale:
I’ so’ na brava perzona
I’ songo na brava perzona
Giuvanne e Teresa so’ asciute nzieme
Giuvanne e Teresa songo asciute nzieme
Un’osservazione a parte va fatta per alcuni modi e tempi che in napoletano sono poco o per nulla usati, o che sono usati in modo diverso dall’italiano.
Ad esempio, non si usa l’imperativo di essere, per cui “Sii buono” si potrà dire con altre espressioni, come Fa’ ’o bravo, Nun essere fetente, mentre è adoperato quello di avé, come nell’espressione Agge pacienza (“Abbi pazienza”).
Il congiuntivo presente, poi, sembrerebbe addirittura scomparso e sostituito a volte con l’indicativo presente e a volte con il congiuntivo imperfetto. Questo fenomeno peraltro non riguarda solo i due verbi ausiliari.
I’ penzo ca chillo è pazzo “Io credo che quello sia pazzo”
Voglio ca me si’ amico e ca me vuo’ bene “Voglio che tu mi sia amico e che mi voglia bene”
Prejo a Ddio che fusse sempe bravo come si’ mmo “Prego Dio che tu sia sempre buono come sei adesso”
D’altra parte è noto che anche nell’italiano parlato il congiuntivo è un modo che tende a scomparire. Da tempo infatti i linguisti vanno studiando questo fenomeno, definito anni fa in un convegno “la morte del congiuntivo”.
Eppure il congiuntivo presente del verbo essere doveva esistere in passato. Infatti è rimasto nell’espressione arrassusia (“lontano sia”, “non sia mai”), che risale almeno alla dominazione spagnola se è vero, come ritiene Enrico Malato, che arrasso deriva dallo spagnolo atràs “indietro” (d’altronde anche in francese il “lontano” viene sostituito dall’ “indietro” nell’espressione equivalente arrière-soit-il, letteralmente “indietro sia”, cioè, appunto, il nostro “lontano sia”, arrassusia). Il che, a nostro modesto parere, fa giustizia dei tanti e spesso fantasiosi tentativi di ricostruire l’etimologia di questa parola (c’è chi ha supposto uno spagnolo arrada o ha fatto derivare il verbo arrassà da arrancar, in provenzale arrachà, chi ha pensato a un latino rasare e chi, forse un po’ più plausibilmente, ha trovato in arabo un arrada che vuol dire “allontanare”).
Ma mo ce avessem’ ’a perdere ’o rraù? Arrassusia! Ce vedimmo dummeneca che vvene!