Ognuno di noi ricorda perfettamente dov’era quando ascoltò la notizia dell’attentato alle Torri gemelle dell’11 settembre. Ricorda cosa stava facendo e con chi ha ascoltato quella notizia destinata a cambiare per sempre il mondo intero. Sono passati vent’anni da quell’11 settembre, vent’anni di guerra al terrorismo e di operazioni di pace perché quanto accaduto non si ripetesse più con il risultato che oggi la situazione sembra nuovamente al punto di partenza.
L’attentato alle Torri gemelle dell’11 settembre
I due aerei che si schiantano contro le due torri, i grattacieli fumanti che poi crollano su loro stessi sono immagini che guardammo ininterrottamente per giorni attraverso i telegiornali e sul web che allora iniziava a essere abbastanza diffuso nelle case e negli uffici. Così come vedemmo le immagini del Pentagono contro il quale fu diretto il terzo aereo. Avevamo bisogno, forse, di vederle e rivederle per capacitarci di un evento che ritenevamo assurdo, che non credevamo sarebbe potuto accadere. Imparammo a pensare ai vigili del fuoco come a degli eroi e ad al-Qaida come al nuovo nemico. Imparammo tutto sulle strutture portanti dei grattacieli e su come avessero ceduto per le altissime temperature. Conoscemmo un nuovo nome: Osama Bin Laden.
I retroscena
Dopo la comprensibile ondata di emozione, alimentata anche da una narrazione emozionale di stampo patriottico (gli americani sono maestri in questo) venne il tempo di porsi delle domande. Che ruolo ha avuto l’intelligence americana in questa tragedia? Quali eventuali collusioni avevano potuto rendere possibile l’attuazione di un piano così articolato? Ad alcune domande cercò di dare una risposta il regista Michael Moore con il suo documentario “Fahrenheit 9/11” (tra l’altro vincitore della Palma d’oro al Festival di Cannes). Nel suo documentario, del quale non possiamo non ricordare il passaggio sull’espressione del presidente americano Bush che apprende la notizia dell’attentato mentre è in visita a una scuola della Florida, Moore rivelò, tra l’altro, tutta quella rete di relazioni, fondate per lo più su interessi economici, tra le famiglie Bush e Bin Laden. Indicò come fine nascosto della guerra in Afghanistan, la costruzione e il controllo del gasdotto verso l’Oceano Indiano.
Pearl Harbour
Gli attentati dell’11 settembre sono stati spesso considerati come l’attacco all’America più grave dopo Pearl Harbour, avvenuto durante la seconda guerra mondiale. E come dopo Pearl Harbour gli americani andarono fino in Giappone per la controffensiva lanciando bombe atomiche sulle città di Hiroshima e Nagasaki, così dopo l’attacco alle Torri, volarono fino in Afghanistan per stanare Osama Bin Laden e distruggere il movimento di al-Qaida. Dopo la morte di Bin Laden, avvenuta nel 2011, le truppe americane sono rimaste per altri dieci anni in Afghanistan per farsi carico, insieme alle Nazioni Unite, della ricostruzione del Paese, con un obiettivo ambizioso: esportare la democrazia. Sono andate via poche settimane fa riconsegnando il Paese nelle mani dei Talebani, nuovamente nell’incredulità del mondo intero, nuovamente davanti alle televisioni e sul web, che ora è molto più diffuso e accessibile.
In copertina foto di Here and now, unfortunately, ends my journey on Pixabay da Pixabay